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Santi del 28 Novembre

Il mio Santo > I Santi di Novembre

*Sant'Andrea Tran Van Trong - Martire (28 novembre)

Martirologio Romano:
Nel territorio di Khám Đường in Annamia, ora Viet Nam, Sant’Andrea Trần Văn Trǒng, martire, che, dopo aver patito il carcere e atroci torture per essersi rifiutato di recare oltraggio alla croce, fu decapitato sotto l’imperatore Minh Mạng.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Andrea Tran Van Trong, pregate per noi.

*Beato Angel Francisco Bocos Hernandez - Religioso e Martire (28 novembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Ruijas, Spagno, 27 gennaio 1883 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 28 ottobre 2007.
Dati biografici
Il fratello Ángel F. Bocos nacque a Ruijas (Cantabria), diocesi di Santander, il 27 gennaio 1883.  Sappiamo molto poco della sua famiglia. Nel certificato di battesimo compare “sconosciuto il padre”. Alla morte della madre, fu accolto da suo zio Felipe Hernando, parroco di Quinasolmo, dal quale ricevette una educazione solida e cristiana. Quando bussò alle porte del noviziato oblato aveva 17 anni.
Il 31 dicembre 1900, iniziò il suo percorso religioso aspirando di consacrare la sua vita a Dio come fratello (religioso non sacerdote). Fece la sua  prima oblazione temporanea nel 1901 e la sua oblazione perpetua nel 1907.
Nei suoi 35 anni di vita consacrata visse in diverse comunità oblate: Madrid, Aosta e San Giorgio Canavese (Italia), Notre Dame de Lumières (Francia)…
Al ritorno in Spagna, nel 1925, lo destinano inizialmente al noviziato di Las Arenas (Vizcaya), poi, nel 1929, all’apertura dello scolasticato a Pozuelo (Madrid), va a far parte di questa comunità, prestando validi servizi, soprattutto nella cucina.
Detenzione e martirio
Fu fatto prigioniero con tutta la comunità il 22 luglio del 1936, portato poi a Madrid e messo in libertà il 25 luglio. Il fratello Ángel Bocos tenta di cercare un rifugio sicuro, ma il 15 ottobre è di nuovo arrestato e portato al Carcere Modelo dove si incontrerà con quasi tutti gli Oblati di Pozuelo. Un mese più tardi lo trasferirono al carcere di San Antonio e da lì, il 28 novembre 1936, lo “portano via” per giustiziarlo con gli altri dodici Oblati a Paracuellos del Jarama.
Era un eccellente cuoco, disposto al sacrificio, servizievole, pio e di buona capacità di adattamento. Era il più anziano dei Martiri, aveva 53 anni.
Testimonianze
A causa della sua età e della sua famiglia ridotta, è stato difficile trovare testimoni che lo conoscessero. Mons. Félix Erviti, ex superiore dello scolasticato di Pozuelo e primo Prefetto Apostolico del Sáhara Occidentale, che aveva conosciuto gli Oblati in Francia, dove ricevette la sua formazione religiosa, è uno dei  pochi che danno testimonianza su di lui: Conobbi il fratello Ángel Bocos essendo stato nel seminario minore di Lumières. Questo luogo dove viveva la comunità oblata era un santuario della Santissima Vergine. Nella cripta andavamo a fare gli esercizi di pietà nei quali si distingueva il fratello Ángel Bocos. Il suo carattere era tranquillo e pacifico. Era umile e calmo. Dopo il 1925 fu trasferito a un’altra comunità e io non ebbi più contatti con lui.
Ci sono varie testimonianze sui fratelli della comunità di Pozuelo. Dice, per esempio, P. Ángel Villalba, che convisse con loro: Come comunità c’era una carità collettiva verso il prossimo. Dentro la comunità vivevano i (tre) fratelli coadiutori che partecipavano a questa carità e erano per noi una testimonianza ammirevole.
Anche P. Felipe Díez, altro superstite, sottolinea: I fratelli coadiutori vivevano in una forma di sacrificio esemplare nei diversi ministeri che praticavano.
Mentre erano prigionieri nella loro casa di Pozuelo, il capo dei miliziani lo obbliga a seguirlo nella  cucina, sotto vigilanza, dicendogli:  “Tu fai da mangiare per tutti, ma se manca, che manchi per i tuoi e non ai  miei”.
Da una lettera che questo Fratello inviò al Superiore Generale di allora, Mons. Agustín Dontenwill, possiamo dedurre la sua tenacia, rassegnazione e pazienza davanti alle avversità, quali i dolori dello stomaco e di una gamba, e come, nonostante questo, continuava a fare il lavoro in cucina, che adempiva da 24 anni, offrendo tutto questo “per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime”, diceva.
D. Ricardo Quintana, Delegato diocesano delle Cause dei Santi nella Arcidiocesi di Madrid, che presiedette, come giudice, tutto il processo diocesano, non può dissimulare la sua simpatia verso questo Servo di Dio ed è convinto che il fratello Bocos, del quale pochi parlano nel processo, era un vero Santo e alla sua intercessione attribuiva il suo veloce recupero da un grave incidente.

(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com)
Giaculatoria - Beato Angel Francisco Bocos Hernandez, pregate per noi.

*Beato Clemente Rodriguez Tejerina - Religioso e Martire (28 novembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Santa Olaja de la Varga, Spagna, 23 luglio 1918 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 28 ottobre 2011.
Dati biografici
Clemente Rodríguez Tejerina nacque a Santa Olaja de la Varga, provincia e diocesi di León, il 23 Luglio del 1918. Sua sorella Josefa, religiosa della Sacra Famiglia di Bourdeaux, ci dice: “la condizione socio-economica della mia famiglia era semplce, era quella di chi lavorava nei campi”. Erano dodici fratelli, dei quali sei consacrati: due Cappuccini, due religiose della Sacra Famiglia e due Oblati: Clemente e Miguel.
Solo questo datto dà idea della dimensione religiosa della famiglia. Sua madre era una donna molto religiosa e, benché non avesse avuto una grande istruzione, aveva letto molti libri che le procurarono una buona formazione religiosa che cercava di inculcare ai suoi figli.
“Tutte le notti, scrive Maruja, sorella di Clemente, ci riuniva, tutti i fratelli, nella sala da pranzo e pregava offrendo i suoi figli al Sacro Cuore. Inoltre chiedeva la perseveranza di tutti noi. Apparteneva all’associazione delle “Maríe dei Sacrari” e le feste eucaristiche avevano per lei un’importanza molto singolare, tanto da far partecipare tutti noi figli alla preparazione degli altari, curando fino ai più piccoli dettagli, mostrando in tutto ciò un grande amore al Signore.”
In questo calore cassalingo subito Clemente cominciò ad essrre cosciente della propria vocazione. Così, a solo 11 ani esce dalla casa paterna per andare al seminoario minore que gli Oblati avevano a Urnieta (Guipúzcoa). Il 5 Luglio del 1934 cominció il noviziado a Las Arenas (Vizcaya) e fece la sua prima oblazione il 16 Luglio del 1935, giorno emozionante, poichè tutti i neo-professi uscirono piangendo.  Lo stesso giorno viaggiarono di notte in treno fino a Pozuelo (Madrid) e, trascorso il tempo delle vacanze in comunità, Clemente cominciò i suoi studi ecclesiastici. Si dedicava con molta serietà alla sua formazione religiosa e intellettuale. Nel carattere era tutto bontà e mansuetudine. Non pestava con rumore, pestava con sicurezza. Era l’uomo buono e servizievole.
Detenzione e martirio
Appena terminato il primo corso, il 16 Luglio del 1936, Clemente rinnovó i suoi voti e sei giorni più tardi, il 22 Luglio, fu rinchiuso con tutta la comunità nel proprio convento e, due giorni dopo, portato con tutti a Madrid,  alla Direzione Generale di Sicurezza, per essere rimesso in libertà il giorno successivo.
Dopo essersi rifugiato prima nella casa provinciale e dopo che questa fu confiscata, si trasferì in una pensione. Il 15 ottobre del 1936 fu fermato di nuovo e portato al Carcere Modelo.
Là incontra quegli Oblati  che non aveva visto dalla fuga da Pozuelo e più in seguito, insieme ai suoi fratelli religiosi, sarà trasportato a San Antón.  
Da lì fu “portato via” insieme ad altri 12 Oblatos e martirizzato a Paracuellos del Jarama il 28 novembre del 1936. Era il più piccolo del gruppo: aveva solamente 18 anni.
Testimonianze
Clemente, come rimane detto, si rifugiò nella casa provinciale, che fu alla fine conquistata la domenica 9 Agosto. Così descrive il fatto il P. Delfín Monje, miracolosamente liberato mentre lo portavano a fucilarlo:
Alle undici e mezza della matina suonò il campanello della portineria. Un nutrito gruppo di maestri laici, armati di pistole, irruppe nel giardino e c’invitò “cortesemente” ad abbandonare il locale. Come il P. Esteban (Provinciale di Spagna) si lamentò dell’arbitrarietà di quel provvedimento, essendo noi sempre stati cittadini pacifici, essi gli risposero: “Crediamo che voi non abbiate commesso nulla, pero molti preti e frati l’hanno fatto; ed è quello che succede, gli uni pagano per gli altri”. Andando lasciammo i nuovi proprietari occupati nel collocare sul muro di cinta del giardino un enorme panno con questa iscrizione: “Pignorato per il Ministero delle Belle Arti”.
Josefa, la sorela di Clemente, potè visitarlo prima di essere espulsi della casa provinciale. Dalla conversazione con lui, potè dedurre l’interezza e lo spirito di fede che regnava in suo fratello e la sua chiara disposizione al martirio. Ci dice:
Stetti con lui durante alcuni momenti. Ricordo che gli domandai come stava d’animo e mi disse: “Siamo in pericolo e temiamo che ci separino; insieme, ci diamo coraggio gli uni agli altri. Con tutto, se bisogna morire, sono disposto, sicuro che Dio ci darà la forza di cui abbiamo bisogno per essere fedeli”. Queste sono le testuali parole di mio fratello che, pronunciate in quei momenti, non dimenticherò mai.  Mentre stavamo parlando, venne il P. Francisco Esteban e mi chiese di andare via subito dato che la comunità si sentiva molto vigilata ed anche io rischiavo per la mia condizione di religiosa. Anche il Provinciale disse: “Qui periamo tutti”.
Sempre Josefa, grazie alla testimonianza di un compagno che stette con lui nella stessa prigione di San Antón, venne a sapere delle condizioni nelle quali fu Clemente:
Mi raccontò che li avevano depositati nella cantina, dove si trovavano le docce della scuola in cattive condizioni, la situazione era che frequentemente stavano coi piedi nell’acqua e che non avevano il  minimo spazio vitale per muoversi.
Mi diceva anche che non mangiavano tutti i giorni e che, sopra, quando i carcerieri portavano il rancio, si burlavano dei carcerati domandando: “Chi non ha mangiato ieri”? Mi disse anche che tutti quelli che stavano   lìerano cattolici, che si univano e pregavano.
La stessa sorella, ignorando il fatto della sua morte, continuò a cercare di visitarlo nella prigione di San Antón. Vediamo come conobbe, dopo molte verifiche, la notizia della morte di Clemente:
L’ultima volta che cercai di vederlo fu a dicembre del 1936. Il miliziano di turno, con malo modo, mi disse di non ritornare là se non volevo rimanerci dentro. Siccome insistetti nel sapere se stava ancora nella prigione, mi rispose che se volevo sapere di Clemente mi dovevo recare alla calle Santa Barbara, al Ministero di Giustizia, e che in una sala enorme con cavalletti e tavole avrei trovate scatole strapiene di schede.
Così lo feci e dopo una lunga ricerca, trovai una scheda che testualmente diceva: “Clemente Rodríguez Tejerina, messo in libertà il 28 di novembre del 1936″. Dopo essermi accertata che nessuno mi vedeva, presi la scheda ed andai al Consolato del Cile. Lì mi informarono che tutte le persone che erano state “messe in libertà”, tirandole fuori dalle prigioni, i giorni 27 e 28 novembre del 1936, erano state fucilate immediatamente a Paracuellos del Jarama. Da quel momento pensai che mio fratello era martire, perché egli era sicuro che l’andavano ad ammazzare e che la causa della morte non era altro che quella di essere un religioso.
(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com)

Giaculatoria - Beato Clemente Rodriguez Tejerina, pregate per noi.

*Beato Daniele Gomez Lucas - Religioso e Martire (28 novembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Hacinas, Spagna, 10 aprile 1916 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.
Biografia
Nacque ad Hacinas, provincia e diocesi di Burgos, vicino alla famosa e secolare Abbazia di Silos, il 10 aprile 1916. La condizione socio-economica della famiglia era semplice, tipica dei muratori e dei proprietari di bestiame dell’epoca. L’ambiente familiare era di dedizione al lavoro e di forti convinzioni religiose. In questa atmosfera, Daniel fu formato alla pietà e alla morale cristiana.
Si pensa che la sua formazione religiosa sia stata eccellente durante l’infanzia. La vocazione emerse spontaneamente in un ambiente in cui si conoscevano i Missionari Oblati.
Due suoi cugini, infatti, erano Oblati: Padre Simeón Gómez, missionario in Ceylon (l’attuale Sri Lanka) e padre Sinforiano Lucas, che fu professore a Sant’Antonio, in Texas, Provinciale di Spanga, Assistente Generale della Congregazione a Roma e infine vescovo nel vicariato apostolico di Pilcomayo in Paraguay. Così che a 12 anni Daniel entra già nel seminario minore di Urnieta (Guipúzcoa).
In questo periodo, Daniel scopre la persecuzione religiosa, che già sperimentava in quegli anni in un ambiente completamente diverso dal proprio paese natale. Quando, per esempio, i seminaristi uscivano per una passeggiata nel paese vicino, Hernani, gli tiravano pietre e li insultavano. È impressionante la testimonianza di Padre Ignacio Escanciano, entrato dopo Daniel:
“Nonostante fossimo ragazzini, uno dei nostri argomenti di conversazione era come sfuggire da un possibile incendio del seminario provocato dall’odio per la religione. Quando andavamo in vacanza e durante il viaggio qualcuno si accorgeva che eravamo seminaristi, ci facevano il gesto di tagliarci la gola, a volte con un coltello in mano.”
Nonostante questo clima ostile, Daniel proseguì il cammino intrapreso e arrivò al noviziato di Las Arenas, dove fece i primi voti nel 1935; poi si trasferì a Pozuelo per proseguire gli studi ecclesiastici. Spiccava in lui una certa costanza nella cura della vita interiore e il portare avanti gli studi ai quali dedicava molto tempo ed entusiasmo. Era un amante di tutti gli sport. Appariva sempre di buon umore, ottimista e fiducioso.
Arresto e martirio
Dopo l’arresto nel convento di Pozuelo, il trasferimento alla Direzione Generale di Sicurezza e la successiva rimessa in libertà del 25 luglio, i quindici giovani Oblati si ritrovano, senza alcuna documento, in una Madrid sconosciuta per la maggior parte di loro. Si organizzarono seguendo le disposizioni dei superiori, formando piccoli gruppi per non destare sospetti e poter trovare asilo. Daniel rimase per ultimo e si rifugiò nella casa del sarto, José Vallejo, che gli faceva le tonache, dove già era stato protetto il gruppo più numeroso di Oblati. Questa famiglia li accolse fino al secondo e definitivo arresto, il 15 agosto.
La signora Dulce, moglie del sarto, li andava a trovare in carcere, dove rimasero per circa tre mesi, portandogli le notizie degli Oblati in libertà.
Daniel rimase nel carcere Modelo fino alla metà di novembre, quando gli ultimi tredici Oblati che dovevano essere martirizzati furono trasferiti alla Scuola degli Scolopi di via Hortaleza a Madrid, trasformata in un carcere conosciuto come “Carcere di San Antón”. Il 28 novembre fu “tirato fuori” dal carcere con altri dodici Oblati per essere immolato con loro, quello stesso giorno, a Paracuellos del Jarama. Aveva 20 anni.
Testimonianze
Padre Porfirio Fernández, sopravvissuto, che si unì al gruppo della casa del sarto, scrive: “Arriviamo il giorno 11, di buon’ora, José Guerra ed io, incontrandoci con dodici compagni, e ci raccontiamo reciprocamente tutto quello che ci era successo. Il 12, giorno del Pilar, ci portano le ostie consacrate; tutto il giorno in adorazione, a turno, e, al tramonto, facemmo la comunione per la prima volta dopo Pozuelo. Il giorno 13 passò senza contrattempi; ci coricammo. A mezzanotte suona il campanello;  apriamo, si presenta: “la polizia”. Io ero a dormire con Daniel Gómez e altri cinque, sul santo pavimento. Entrando e vedendoci così, non ci chiesero niente; era chiaro a tutti che eravamo nascosti. Poi arrivano due auto che ci portano tutti insieme in commissariato. Menomale che non coinvolsero la famiglia, grazie a Dio!
Ci portarono in una grande sala; c’erano pochi prigionieri; tutti in silenzio. A metà mattina eravamo così pigiati che non potevamo neanche sederci per terra. Avevano cominciato le perquisizioni, casa per casa, di notte. Appena fa buio, cominciano a prendere accordi… A mezzanotte ci chiamano tutti, anche i civili, e ci caricano nel furgone cellulare. I civili riconoscono le strade e dicono: “Ci portano al carcere Modelo”, come infatti avviene.
A proposito della situazione in cui si trovavano nel carcere Modelo e sul loro comportamento, ci racconta Padre Felipe Díez, altro sopravvissuto: “Continuai a restare in contatto con le persone che erano state con gli Oblati prima dell’arresto e che andavano a portargli i pasti.
Queste persone ci raccontavano le condizioni in cui si trovavano in carcere: soffrivano la fame, erano pieni di pidocchi, ma rimanevano sempre saldi nella fede, mantenendo un autentico spirito di carità gli uni con gli altri.”
Lo stesso Padre Felipe sottolinea l’eroico spirito di fede con il quale vissero questo lungo periodo di tragedia: L’unica ragione che i miliziani avevano per arrestarci era che eravamo religiosi. Non ne sapevamo niente di questioni politiche, nè mai ci eravamo dedicati ad esse. Dal primo momento in cui fummo arrestati, ognuno di noi aveva la consapevolezza che saremmo stati uccisi per la nostra condizione di religiosi. Dentro di noi, l’unico sentimento che si diffondeva era lo spirito di perdono da una parte, e, dall’altra, il desiderio di dare la vita per la Chiesa, per la pace della Spagna e per coloro i quali pensavamo ci avrebbero fucilato. L’unico movente che ci guidava era soprannaturale, poichè umanamente perdevamo tutto. Eravamo coscienti che se ci uccidevano era per odio verso la fede”, come avvenne, di fatto, per quasi tutti loro.
(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com)

Giaculatoria - Beato Daniele Gomez Lucas, pregate per noi.

*Beato Eleuterio Prado Villarroel - Religioso e Martire (28 novembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:

"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Prioro, Spagna, 20 febbraio 1915 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 28 ottobre 2007.
Dati biografici
Eleuterio Prado Villarroel nacque a Prioro, provincia e diocesi di León, il 20 Febbraio del 1915. Apparteneva ad una famiglia umile di lavoratori, di una condotta morale intaccabile e profondamente religiosa. Spiccava nella familia la devozione all’Eucarestía e la preghiera quptidiana del Rosario. Sua madre, “Zia Dominga”, aveva la fama dy santa.
Era molto conosciuta non solo a Prioro, ma anche nei paesi vicini come apostola e fondatrice delle donne chiamate “Maríe dei Sacrari”, movimento che ancora esiste e che fomenta la devozione a Gesú Eucarestía.
Teyo, come veniva comunemente chiamato, sin da piccola si sentì chiamato a seguire i passi del fratello, Padre Máximo, che sarebbe stato un grande missionario in Texas. Iniziò le scuole superiori nel seminario minore di Urnieta (Guipúzcoa). Aveva alcune difficoltà con lo studio e scelse di continuare nella Congregazione come Fratello Oblato.
Quindi, fece il noviziato in qualità di Fratello Coadiuvante e fece i primi voti il 25 Aprile del 1928.
Nel 1930 si apre la nuova casa dello scolasticato a Pozuelo ed è destinato a questa comunità. Il 28 Aprile del 1935 fa la oblazione perpetua e resta integrato per sempre nella Congregazione dei Missionari Oblati verso la quale ha sempre dimestrato grande affetto.
Era pietoso e affabile. Lo si vedeva sempre contento e servizievole. Era molto abile, soprattutto nell’ebanistería, che era il suo oimpegno principale.
Detenzione e martirio
Nella sua comunità di Pozuelo lo sorprende l’invasione dei miliziani, che si appropriano della casa il 22 Luglio del 1936. Arrestato con i suoi fratelli di comunità, dopo l’esecuzione notturna di sei Oblati e un padre di famiglia, è traslocato a Madrid e, rimesso in libertà, accorre in cerca di rifugio alla casa provinciale di calle Diego de León. Lì rimane fino al 10 Agosto, data in cui cacciano tutta la comunità, impossessandosi della casa, e trovano rifugio in una pensione in Carera de San Jerónimo.
Lì vive nascosto fino al 15 Ottobre, data nella quale è arrestato nuovamento e portato al Carcere Modelo e traslocato poi a quello di San Antón, dal quale lo “porteranno via” il 28 Novembre del 1936 per essere martirizzato. Aveva 21 anni.
Testimoni
Nella comunità de Pozuelo di distingueva per l’allegría e la generosità con la quale prestava tutti i servizi nelle faccende più umili. Eleuterio non perse il su carattere gioviale e ottimista, non mancò di virtà sovrannaturale, nei momenti di persecuzione e prigionia precedenti al martirio, dando animo ai compagni di prigionie. Così lo descrive una nipote, Felipa Prado: Sempre ho sentito che mio zio era un uomo ottimista, allegro, in tutti i momenti, compreso quando stava in carcere.
Credo che questo sia un segno di fede in Dio, come chi vive molto sicuro che Dio non ci lascia mai dalla sua mano. Era questa fede in Dio che lo manteneva allegro quando le circostanze che viveva erano avverse e, nel caso della prigione, potevano fargli prevedere una morte vicina. Emerge l’animo che infondeva ai suoi compagni in carcere e nel processo fino al martirio.
A proposito del martirio, P. Delfín Monje, anch’egli arrestato, e che lo precedette al Cárcere Modelo, scrive:
Saranno state le otto di mattina quando vedo entrare dalla porta de carcere una faccia conosciuta: era il fratello Eleuterio Prado. Veniva sorridente, come un giovane che non aveva capito la tragedia che era appena iniziata. Dietro di lui, altre facce conosciute: il fratello Publio Rodríguez e il fratello Ángel Villalba. Comprendemmo che gli Oblati rifugiati con P. Esteban nella pensione di san Jerónimo erano stati ugualmente arrestati.
Le condizioni nel carcere -prosegue sua nipote- erano duissime, facevano loro soffire la fame e, come consguenza dei maltrattamenti, alcuni di loro inizarono a morire. Stavano accozzati e le condizioni igienico-sanitarie sempiclemente non esistevano.
I carcerieri cercavano fondamentalmente l’apostasía di fede, cosa che non capitò per nessuno dei religiosi di diverse Congregazioni (Oblati, Agostiniani, …) che stavano nel carcere. Tale era la fermezza nella confessione della fede, che qualche miliziano iniziò a dire che gli davano voglia di seguire il lro esempio, a vederli tanto fermi nella fede.
Nel carcer di San Antón, Eleuterio si riuniva quasi tutti i giorni nel cortile con altri religosi, tra i quali c’era P. Felipe Fernández, Agostiniano, del suo paese. Un altro nipote di Teyo, che si chiamava come lo zio, e nipote a sua volta di quest’altro relgioso, raccoglie una testimonanza di questo secondo zio sopravvissuto:
Tra di loro stava P. Felipe Fernández, mio familiare, che mi raccontò di come si incontravano praticamente tutti i giorni nel cortile del carcere e che (mio zio) era sempre sorridente. Dicevano che già avevano “portato via” a due del paese, che erano Genaro Díez, Agostiniano, e Serviliano Riaño, Oblato. Commentavano, e mio zio Felipe insisteva molto su questo, che questi due molto probabilmente fossero già stati assassinati e che erano martiri.
Mio zio Felipe metteva molta enfasi e a me rimase molto impresso che, in questo gruppo, il 27 novembre del 1936 si diceva che si stava preparando una grande “saca” (prelevazione), così come fu, che era molto facile che sarebbe toccata a qualcuno di loro, e che per salutarsi si dicevano: “Se non ci vediamo più, ci rivediamo in Cielo”.
Il 28 Novembre nella mattina questo gruppo di religiosi del popolo che erano prigionieri furono a cercare Eleutero e non lo trovarono.
Quella notte dal 27 al 28 Novembre era stato “portato via” dalla prigione per essere immolato a Paracuellos. Il suo nome, con quello di altri 12 Oblati sta nella lista di chi, sotto l’apparenza di “ordine della libertà”, sono portati  a quello che oggi è chiamato Cimitero dei Martiri di Paracuellos.

(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com)
Giaculatoria - Beato Eleuterio Prado Villarroel, pregate per noi.

*Santa Fausta Romana - Vedova (28 novembre)

Sec. I
Di lei c'è solo un accenno nell'agiografia cristiana. Lo si trova nella Passione di Sant'Anastasia, dove si legge "Benché mio padre fosse un idolatra, mia madre Fausta è vissuta sempre fedele e casta. Essa mi ha fatto cristiana nella culla".
Etimologia: Fausta = propizia, favorevole, dal latino
Nella Passio di Santa Anastasia si legge una lettera diretta ad un certo Crisogono, nella quale è scritto: "Benché mio padre fosse un idolatra, mia madre Fausta è vissuta sempre fedele e casta. Essa mi ha fatto cristiana dalla culla".
Questo è l'unico accenno esistente - ed esistente in un testo leggendario - sul conto della Santa che oggi ricordiamo. Nient'altro rimane a ricordarci Santa Fausta, oltre questa breve testimonianza di riconoscenza filiale. Tentiamone il ritratto: una mamma che alleva nel Cristianesimo la propria figlia, fin "dalla culla". La moglie di un idolatra, che adora il vero Dio. Una sposa fedele, una donna casta. Può sembrare troppo poco a chi, esigente con gli altri più che con se stesso, chiede alla santità manifestazioni spettacolari e fatti inconsueti.
Ma era già un fatto inconsueto che, nei primi tempi del Cristianesimo, sì trovassero anime disposte al sacrificio e alla persecuzione per amore di quel Dio disprezzato dai pagani, rappresentato come un asino in croce e diffamato come un volgare malfattore.
Per gli apologisti, la prima diffusione dei Cristianesimo fu già un miracolo per se stessa. Sarebbe bastato questo miracolo per dimostrare la divinità dei Cristo. Per la stessa ragione, bastava la conversione per dimostrare la santità dei primi cristiani. Non c'era bisogno di altro.
Non per nulla, i Cristiani dei primi secoli si chiamavano tutti, indistintamente, "Santi". Per illuminare la loro aureola, bastava una confessione, o anche una semplice ammissione: "Sono
cristiano". Spesso, a queste parole dei Santi detti appunto "Confessori", seguiva il processo, la condanna, il supplizio dei Santi, detti allora Martiri cioè "testimoni".
Le varie Passioni derivavano dal desiderio di rendere più evidenti e più esemplari questi sacrifici spesso oscuri, questi eroismi nascosti. Accadde così anche per Santa Anastasia, nella cui complessa Passione si trova l'accenno alla madre Fausta, che allevò dalla culla la figlia cristiana.
Ella doveva sapere che cosa significasse ciò. Voleva dire preparare alla propria figlia un corredo di porpora, un avvenire di sacrifici, quasi certamente una morte prematura. L'amore materno doveva essere superato dalla fede, e la speranza umana doveva essere accesa dalla carità divina.
Ecco perché le poche parole dedicate alla madre Fausta scoprono e rivelano tutto un profondo panorama storico e religioso, e acquistano un grande valore apologetico nella prospettiva dei primi secoli cristiani.
Sono le parole che potrebbero essere estese a tutte le donne cristiane di quei tempi e di sempre: fedeli e caste, modeste e intrepide, amorevoli e coraggiose. Quelle donne esemplari che portarono nelle case ancora pagane il lievito dei Cristianesimo e accesero accanto alla culla dei loro figli la fiamma della fede, alimentata dalla loro passione e propagata dal loro sacrificio.
(Fonte: Archivio della Parrocchia)
Giaculatoria - Santa Fausta Romana, pregate per noi.

*Beato Francesco Esteban Lacal - Sacerdote e Martire (28 novembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:

"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Soria, Spagna, 8 febbraio 1888 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.
Nacque a Soria, capitale della provincia omonima, diocesi di Osma-Soria, l’8 febbraio 1888. Faceva parte di una famiglia di sei figli. Fece i suoi primi voti nella Congregazione dei Missionari Oblati il 16 luglio 1906 nel convento di Urnieta (Guipúzcoa). Nel 1911 andò a Torino (Italia) e lì completò gli studi ecclesiastici e ricevette gli Ordini Sacri che culminarono con il Presbiteriato il 29 giugno 1912. L’anno seguente entrò, come professore, nella Comunità del Seminario Minore di Urnieta, dove resterà fino al 1929.
In quell’anno fu mandato a Las Arenas (Vizcaya) come aiutante del Maestro dei Novizi. Un anno dopo, nel 1930, ritorna a Urnieta come Superiore; continua a fare il professore, prima nelle vesti di Superiore e, due anni dopo, anche come Provinciale, carica per le quale fu eletto nel 1932. Nel 1935 trasferì la propria residenza a Madrid, nella casa che era già degli oblati in calle de Diego de León. Lì ospitò, da buon pastore, un gruppo di Oblati che, detenuti nella loro Comunità di Pozuelo de Alarcón e portati poi alla Direzione Generale di Sicurezza, furono messi in libertà il 25 luglio 1936. Con loro e con quelli che già stavano con lui nella Comunità, patì le ansie della persecuzione religiosa a Madrid e la sperimentò direttamente quando il 9 agosto 1936 fu obbligato ad andarsene, con i suoi fratelli Oblati, dalla sua stessa Comunità di Diego de León.
Con loro si andò a rifugiare in una pensione in calle Carrera de San Jerónimo. Il 15 ottobre fu arrestato e il 28 novembre divenne martire con altri dodici Oblati in Paracuellos de Jarama. Stava per compiere cinquant’anni.
(Estratto del Processo diocesano).
La famiglia di P. Francisco Esteban
“Sono la nipote del Servo di Dio Francisco Esteban. Conoscevo mio zio da sempre perché veniva a trovarci a Madrid dove la mia famiglia aveva un negozio. In estate, la mia famiglia si trasferiva a San Sebastián (Guipúzcoa) ed eravamo soliti far visita a mio zio che stava ad Urnieta. Posso dire di aver passato molto tempo con lui. Stando a Pozuelo, mio padre ci portava a far visita allo zio Francisco. I genitori del Servo di Dio si chiamavano Santiago e Dámasa. Mio nonno era una Guardia Civile. La famiglia era composta da cinque figli. Stando ai suoi figli, che furono cattolici praticanti, l’ambiente familiare sarebbe stato profondamente religioso. La relazione del Servo di Dio con la sua famiglia era molto buona. I suoi fratelli vennero a vivere a Madrid e questo gli rendeva più semplice avere una relazione frequente con la sua famiglia.
Molte volte nella mia famiglia, prima di qualche problema di discrepanze nella famiglia stessa, si diceva che se ci fosse stato lì lo “zio Paco”, come lo chiamavamo in famiglia, non ci sarebbero state discordie. Il ministero apostolico svolto da mio zio durante il periodo 1935-36 era quello di Provinciale della Provincia Spagnola dei Missionari Oblati.
Mio padre si mostrava molto orgoglioso del fatto che suo figlio fosse Provinciale. Fra le sue virtù, sottolineava sempre la semplicità. Non gli piaceva ostentare niente, anche se nella mia famiglia era considerato come una personalità importante.
Sull’ambiente che regnava nel luglio del 1936 a Madrid, posso dire come fatto concreto che io, che avevo 17 anni, venivo fermata da quelli della Casa del Popolo, nel quartiere di Tetuán, quando andavo alla messa, chiedendomi dove andavo, e io rispondevo che andavo alla messa. Mi dicevano che non dovevo andarci e io gli rispondevo a tono. In tali circostanze a metà luglio del 1936, e per com’era pericolosa la situazione, mio padre decise di anticipare il viaggio a Santander, dicendo a mia madre che preparasse tutte le cose perché “domani ce ne andiamo”. Mio zio venne a trovarci e ricordo che mio padre gli chiedeva perché non veniva con noi, perché per come si stavano mettendo le cose poteva succedergli qualcosa di brutto. Mio zio gli rispose di no, perché la sua responsabilità era quella di stare qui con i suoi e che non doveva pensare a se stesso ma agli altri. Ricordo che si abbracciarono e che noi lo salutammo con un bacio. Tanto mio zio quanto mio padre pens avano che quello che stava per succedere sarebbe durato pochi giorni e che sarebbe stata una cosa senza altre conseguenze. Ricordo anche che mio padre gli diceva di togliersi la tonaca, ma lui rifiutò sempre di farlo. Per di più la tonaca aveva nella cintura il grande crocifisso degli Oblati“.
Juana Esteban
Un’altra nipote testimonia: “Per quello che ho letto, fu arrestato il 15 ottobre 1936 con altri Oblati. Seppi da mia zia che venne portato al carcere Modelo. Riguardo al carcere le uniche cose che so per certo è che avevano paura, perché leggevano una lista con i nomi di quelli che uccidevano indiscriminatamente, e che avevano fame e freddo. Concretamente uno dei sopravvissuti mi raccontò che una persona, che si scoprì essere una religiosa della Sacra Famiglia di Bordeaux, portò un cappotto a mio zio. Lui, vedendo che un compagno di prigione aveva freddo, gli diede il proprio cappotto. Ho anche sentito che erano soliti recitare il rosario di nascosto quando camminavano nel cortile o nelle celle”.
Teresa Esteban Berredero
Comincia il Calvario
“Dal primo momento in cui fummo arrestati, in ognuno di noi c’era la consapevolezza che saremmo stati assassinati per il fatto di essere religiosi. Dentro di noi, l’unica cosa che aveva significato era lo spirito del perdono, da una parte, e dall’altra il desiderio di offrire la vita per la Chiesa, per la pace della Spagna e per gli stessi che pensavamo che ci avrebbero fucilato. L’unico motivo che ci guidava era soprannaturale, anche perché umanamente avevamo perso tutto. Eravamo coscienti del fatto che se ci uccidevano era per odio verso la fede cristiana”.
P. Felipe Díez Rodríguez, OMI, sopravvissuto
Dall’espulsione dal Convento, e una volta portati alla Direzione Generale della Sicurezza, dopo una breve dichiarazione vennero tutti messi in libertà. Seguendo le indicazioni dei superiori, ognuno cercò rifugio in case private di familiari o conoscenti, restando in questa situazione fino al mese di ottobre del 1936. Durante questo periodo, tanto Padre Esteban, quanto Padre Blanco e Padre José Vega, rischiando le proprie vite, facevano visita agli scolastici di nascosto, incoraggiandoli nella loro fede e negli impegni religiosi. Come fatto concreto, ricordo di aver sentito Padre Porfirio che il 12 ottobre, festa di Nostra Signora del Pilar, patrona dello Scolasticato, si riunivano alcuni dei Servi di Dio, e che dopo aver passato molte ore in adorazione del Santissimo, che tenevano nascosto, al calar della sera dicevano come sarebbe stato il Viatico.
Stavano arrestando a poco a poco tutti i Servi di Dio e li stavano rinchiudendo nel carcere Modelo, ed è precisamente lì, nella disgrazia, che, esprimendo in maniera chiara le proprie profonde convinzioni evangeliche, si incoraggiavano a vicenda e incoraggiavano anche altri. Tutto ciò, per quanto gli era permesso, con la preghiera e l’esperienza dei maltrattamenti e delle umiliazioni delle quali erano oggetto, con spirito di fede. Tenendo conto che nel mese di novembre a Madrid il clima, a volte, è freddo, nel carcere faceva moltissimo freddo perché non avevano neanche un misero cappotto, e il poco che avevano lo condividevano con altri che sembravano averne più bisogno. Ricordo che Padre Francisco Esteban regalò il proprio cappotto a uno dei suoi compagni di prigione. Oltre al freddo, “compagni” di prigione erano anche la fame e i parassiti, perché l’igiene era quasi inesistente.
Tutto questo l’ho saputo in un modo molto particolare da uno che fu testimone sopravvissuto ai fatti, mio fratello, Jesús, o.m.i.
(Autore: P. Fortunato Alonso, OMI - Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com)

Giaculatoria - Beato Francesco Esteban Lacal, pregate per noi.

*San Giacomo della Marca - Religioso e Sacerdote (28 novembre)

Monteprandone, Ascoli Piceno, 1394 - Napoli, 28 novembre 1476
Nato a Monteprandone (Ascoli Piceno) nel 1394, fu discepolo di San Bernardino da Siena, dal quale ricevette a 22 anni il saio francescano.
Come il maestro, anch'egli si diede alla predicazione, in Italia, Polonia, Boemia, Bosnia e in Ungheria dove si recò per ordine del Papa.
Oratore ardente, si scagliò soprattutto contro i vizi dell'avarizia e dell'usura. Proprio per combattere quest'ultima, San Giacomo della Marca ideò i Monti di Pietà, dove i poveri potevano impegnare le proprie cose, non più all'esoso tasso preteso dai privati usurai ma ad un interesse minimo. Già debilitato per la vita di penitenza e colpito da coliche fortissime, morì a Napoli, nel 1476. Le sue ultime parole furono: «Gesù, Maria.
Benedetta la Passione di Gesù». (Avvenire)
Etimologia: Giacomo = che segue Dio, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Napoli, deposizione di San Giacomo della Marca, sacerdote dell’Ordine dei Minori, insigne per la predicazione e per l’austerità di vita. "Padre, io vado a predicare a Gubbio - disse Fra Giacomo a Fra Bernardino da Siena. E voi dove andrete?". "lo me ne andrò nel Regno" rispose il popolarissimo predicatore.
Fra Giacomo pensava che Bernardino andasse a predicare nel Regno (di Napoli, come allora si diceva), ma il senese intendeva nel Regno dei cieli; pochi giorni dopo, infatti, seppe che il suo grande e amato maestro era partito per un altro Regno.
Interruppe la predica e fece recitare a tutti gli astanti un Miserere. Poi disse: "In questo momento cade in terra una grande colonna".
In quel momento, infatti, moriva San Bernardino da Siena.
Non si può parlare di San Giacomo della Marca senza ricordare il Santo senese che ebbe attorno a sé una corona di portentosi predicatori: San Giovanni da Capestrano, Alberto da Sarteano, Matteo di Girgenti e Giacomo della Marca.
Giacomo si chiamava della Marca, perché era nato, nel 1394, a Monteprandone, in provincia di Ascoli Piceno, e, a 22 anni, in Santa Maria degli Angioli, aveva ricevuto il saio francescano proprio da San Bernardino.
"0 buon padre - dirà poi - io mi ricordo quand'ero novizio e tu mi tagliasti con le tue mani la mia prima tunica".
Si diede, come il maestro, alla predicazione, con grande successo, non solo in Italia, ma in Bosnia, in Boemia, in Polonia.
Stava mangiando, quando gli giunse l'ordine del Papa di partire per l'Ungheria.
Si alzò immediatamente, senza neppure finire di bere. L'obbedienza veniva da lui interpretata nella più assoluta e istantanea maniera. La sua vita era di estrema penitenza.
Faceva sette quaresime durante l'anno, e negli altri giorni il suo cibo era formato da una scodella di fave cotte nell'acqua. Per quanto castissimo, tormentato da tentazioni, si disciplinava durante la notte. Malato, ebbe sei volte l'Estrema Unzione.
Eppure resistette fino agli ottanta anni, nella faticosa vita dei predicatore volante.
I temi della sua predicazione erano quelli stessi di San Bernardino, e nei temi morali, San Giacomo della Marca insisteva su quello dell'avarizia, e più che altro dell'usura.
L'usura era la piaga di quei tempi, nei quali la mercatura portava alla formazione di ricchezze nelle mani di pochi intraprendenti fortunati.
Le classi più povere dovevano ricorrere a prestiti, fatti da usurai, chiamati da San Bernardino "succhiatori del sangue di Cristo". Per combattere l'usura, San Giacomo della Marca ideò i Monti di Pietà, dove i miseri potevano impegnare le proprie cose, non più all'esoso tasso preteso dai privati usurai ma ad un interesse minimo.
Un altro Santo, che prese il nome del predicatore senese, Bernardino da Feltre, sarebbe diventato poi il più efficace propagatore dei Monti di Pietà, ideati da San Giacomo della Marca.
Colto da terribili coliche, il magro e quasi distrutto predicatore marchigiano temeva soltanto una cosa: che il dolore fisico lo distraesse dalla preghiera, nelle ultime ore della sua vita.
Ai confratelli chiedeva insistentemente perdono per il cattivo esempio che aveva dato. Morì a Napoli, nel 1476, dicendo: "Gesù, Maria. Benedetta la Passione di Gesù".
(Fonte: Archivio della Parrocchia)
Giaculatoria - San Giacomo della Marca, pregate per noi.

*Beato Giacomo Thompson - Sacerdote e Martire (28 novembre)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Martiri di Gran Bretagna e Irlanda" - Senza data (Celebrazioni singole)

Martirologio Romano: A York in Inghilterra, Beato Giacomo Thomson, sacerdote e martire, che, condannato a morte sotto la regina Elisabetta I per aver riconciliato molti con la Chiesa cattolica, subì il supplizio del patibolo.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo Thompson, pregate per noi.

*Beati Giovanni Gesù (Mariano) Adradas Gonzalo e 14 Compagni - Religiosi e Martiri (28 novembre)
Schede dei Gruppi a cui appartengono:
"Beati Martiri Spagnoli Fatebenefratelli" Beatificati nel 1992 - Senza Data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

† Paracuellos del Jarama, 28 novembre 1936
Martirologio Romano: In località Paracuellos del Jarama presso Madrid in Spagna, Beati martiri Giovanni Gesù (Mariano) Adradas Gonzalo, sacerdote, e quattordici compagni, martiri, che, religiosi dell’Ordine di San Giovanni di Dio, in tempo di persecuzione furono coronati da gloriosa passione. Nel mese di novembre 1936 a Paracuellos del Jarrama, a 18 chilometri da Madrid, furono uccisi altri 22 Fatebenefratelli della comunità di Ciempozuelos, centro della provincia Andalusa. Nell'ospedale, fondato nel 1877 da San Benedetto Menni, erano ricoverati e curati circa 1200 infermi. Priore della comunità era il B. Fra Guglielmo Llop, nato nel 1880 a Villareal, nella diocesi di Tortosa, e maestro del noviziato era il B. Giovanni Gesù Adradas, nato nel 1878 a Cinquezela, della diocesi di Sigùenza.
All'inizio dell'insurrezione militare il comitato marxista di Ciempozuelos accrebbe contro i sacerdoti e i religiosi la sua campagna persecutoria. La Chiesa parrocchiale fu profanata e trasformata in carcere. Di notte i miliziani facevano uscire di casa gli iscritti nella lista nera con il pretesto che dovevano essere interrogati dal Comitato rivoluzionario, e li fucilavano senza pietà nelle cunette delle strade. Prevedendo il peggioramento della situazione, i superiori procurarono il passaporto ai religiosi, e indicarono loro i luoghi dove avrebbero potuto eventualmente trasferirsi. L'ospedale fu circondato da miliziani armati.
Per prudenza i Fatebenefratelli si vestirono da secolari. Furono così autorizzati ad andarsene dove avrebbero preferito. Tolsero dalla chiesa il SS. Sacramento per evitare profanazioni. Il P. Adradas
lo nascose nelle pieghe interne degli stivali avvolto in pannilini. I religiosi si strinsero maggiormente attorno ai loro superiori e moltiplicarono le preghiere. L'ospedale fu incamerato dal governo civile di Madrid. La chiesa fu chiusa dopo che erano stati tolti tutti gli oggetti religiosi e la casa perquisita. L'autorità civile sospettava che in essa fossero state occultate delle armi.
In quel frangente giunse da Talavera de la Reina, sul Tago, la ferale notizia del martirio del Beato Federico Rublo, superiore della locale Scuola Apostolica, nato nel 1862 a Benavides de Orbigo, nella diocesi di Artoga e in provincia di Leon, e di altri tre confratelli:
1) il Beato Fra Primo Martinez, Vicario Priore, nato nel 1869 a San Romàn de Campezo, nella diocesi di Viteria e in provincia di Alava; 2) il Beato Fra Girolamo Ochoa, nato nel 1904 a Goni, nella provincia di Navarra, di professione cuoco; 3) il Beato Fra Giovanni della Croce Delgado, nato nel 1914 a Puebia de Alcocer, nella diocesi di Toledo.
Dopo il 18 luglio a Talavera i marxisti cominciarono ad arrestare le persone che consideravano di destra. Nel pomeriggio del 23 luglio un gruppo di miliziani bloccò l'ingresso della casa dei religiosi. Fra Girolamo accorse a vedere ciò che stava succedendo, ma fu arrestato e tenuto con le braccia sollevate per circa mezz'ora tra burla e spintoni. Altri miliziani perquisirono la casa in cerca di armi. A Fra Giovanni della Croce che li accompagnò alla porta disillusi, dissero: "Sappiamo che voi siete intelligenti, ma dovete cambiare mestiere". Nel pomeriggio del 24 luglio era giunta a Talavera da Madrid una colonna di miliziani, "assetati di giustizia popolare". Il giorno dopo, al termine della Messa e della colazione, il superiore dispose che i Fratelli si vestissero da secolari. Verso le dieci entrarono di prepotenza i miliziani nel convento gridando: "Le armi! Dove sono le armi? Non lo volete dire? Tanto è lo stesso, perché nessuno di voi uscirà vivo". E, indicando loro un mucchio di paglia, dissero: "Lì vi bruceremo vivi!".
Invece i marxisti li portarono soltanto via tra le ingiurie e le minacce del popolaccio. Quando giunsero a Piazza Mariana, dove sorgeva il teatro Victoria, trasformato in carcere, i miliziani volevano costringere i Fratelli ad alzare in alto il pugno chiuso e a gridare: "Viva il Comunismo!".A nome di tutti soltanto Fra Guglielmo urlò: "Viva Cristo Re!".
Al presidente del Tribunale del Popolo il superiore disse: "Mi chiamo Federico Rubio, sono sacerdote, e non sapendo fino a quando dovremo restare qui, ho portato con me alcune ostie perché, se mi è possibile, possa celebrare la Messa". I miliziani andarono sulle furie. Uno di loro lo colpì con il calcio del fucile dicendogli: "Le ostie le porto io in questa canna, e presto le daremo a voi". Difatti li fecero salire sopra un automobile dando loro a intendere che li avrebbero portati a Toledo. Invece, non molto lontano da Talavera, li fecero scendere davanti al santuario di N. S. del Prato, patrona del paese, li condussero dietro la chiesa e, come cani randagi, li fucilarono davanti a
una colonna di pietra, sormontata da una croce. Il P. Rublo e Fra Girolamo morirono sul colpo. Fra Giovanni della Croce morì mentre veniva trasportato all'ospedale. Fra Primo morì tra atroci sofferenze nell'ospedale dicendo: "Madonna del Carmine, abbi pietà di me. Signore, perdonali, come io li perdono".
Lo stesso giorno, il tabernacolo che i religiosi avevano lasciato chiuso nella cappella, a forza fu aperto nella parte posteriore da un gruppo di ferrovieri, guidati da una giovane maestra, la quale ebbe il diabolico coraggio di estrarre la pisside, buttare a terra le ostie consacrate e calpestarle tra le bestemmie e le oscene risate dei presenti.
Due settimane dopo, cioè il 7 agosto, primo venerdì del mese, la numerosa comunità di Ciempozuelos fu dichiarata in arresto, spogliata di tutto quanto possedeva e ricoperta d'insulti. In mattinata era riuscita a farsi celebrare l'ultima Messa e a fare la comunione nella cappella del noviziato. Dopo pranzo, gruppi di miliziani radunarono i religiosi con atroci insulti, li schedarono, li spogliarono dei loro oggetti devoti e dei denari che avevano ricevuto dai superiori e, verso mezzanotte, li condussero in refettorio per la cena. Il Priore li dispensò dal silenzio dicendo: "Giacché il Signore dispone così, noi non ci affliggiamo. Facciamo ricreazione. Sia lodato Gesù Cristo".
Il giorno dopo il Provinciale permise che alcuni Fratelli rimanessero in casa per il loro particolare servizio in ospedale. Gli altri nel pomeriggio furono trasportati a Madrid e rinchiusi in un sotterraneo. Per cena fu loro somministrato soltanto un po' di pane e un piatto di lenticchie. Il 9 agosto furono condotti nel carcere di Sant'Antonio, ex-collegio dei Padri Scolopi, diventato tristemente famoso. In tutto i Fratelli erano 54, inclusi i novizi, gli oblati e i postulanti i quali vivevano strettamente uniti al Provinciale, al Priore e al maestro dei novizi. La mattina prestissimo facevano le loro preghiere sdraiati sui pagliericci o riuniti in due o tre per non dare nell'occhio. Recitavano il rosario con le corone di corda che erano riusciti a confezionarsi, praticavano il ritiro spirituale, si confessavano passeggiando e si animavano al martirio dicendo: "Questa è una grazia troppo grande per noi".
Nel carcere erano presenti più di mille persone. Appartenevano alle più disparate categorie sociali e dovevano comparire ogni tanto davanti al Tribunale Popolare. I miliziani più perversi dicevano ai religiosi più anziani: "Guarda, guarda, che esemplari bellissimi che abbiamo! Che avranno fatto di utile questi all'umanità?". Se vedevano qualcuno dei superiori conversare con i Fratelli più giovani li affrontavano villanamente dicendo: "Svelto, via di lì. Non ti sembrano poche le cattiverie che hai
insegnato ad essi?". Cercarono di indurre i più inesperti a bestemmiare, a commettere atti lascivi con insulti e coltelli alla mano, ma inutilmente.
Uno di essi rispose loro: "È inutile che insistiate. Se avete da risolvere qualcosa fatelo subito perché altro non otterrete da me". I miliziani gli dissero: "Allora ti tiriamo due colpi". L'intrepido religioso li rimbeccò: "Anche se me ne volete dare cento è lo stesso".
Il prelievo e la fucilazione dei prigionieri furono iniziati ai primi di novembre 1936. Il giorno 7, in due spedizioni, furono mitragliati circa 1000 militari in una vallata sabbiosa, bagnata dal fiume Jarrama a circa 3 chilometri dal paese Paracuellos. Nella suddetta località furono fucilati anche 15 Fatebenefratelli il 28 novembre 1936 e 7 il 30, pienamente conformati al volere di Dio. Si erano separati dai confratelli in lacrime e con l'augurio: "Arrivederci in cielo". Furono fatti salire sui "veicoli della morte" con le mani legate dietro la schiena, tra gli insulti della folla accorsa alla porta del carcere. Si calcola che soltanto a Paracuellos siano state mitragliate 12.000 persone.
(Autore: Guido Pettinati - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beati Giovanni Gesù Adradas Gonzalo e 14 Compagni, pregate per noi.

*Beato Giovanni Giuseppe Caballero Rodríguez - Religioso e Martire (28 novembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Fuenlabrada de los Montes, Spagna, 5 marzo 1912 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.

Nacque a Fuenlabrada de los Montes, diocesi di Toledo e provincia di Badajoz. Era suddiacono. In breve sarebbe stato ordinato sacerdote.
Giovane di grande personalità, viveva la preoccupazione di animare il buon spirito e la sua comunità. Era intraprendente, metodico e perseverante in ciò che portava avanti. La sua caratteristica più eccezionale: la sua forte inquietudine missionaria che contagiava i suoi fratelli di comunità. Con i suoi 24 anni, già si vedeva missionario e si comportava come tale.
Juan José nacque il 5 Marzo e fu battezzato il 16 dello stesso mese nella parrocchia di Nostra Sig.ra dell’Assunzione. Suo padre, Jesús María Caballero, era sposato in seconde nozze con Baudilia Rodríguez e da questo secondo matrimonio nacquero due figli: Elisa e Juan José. Anche dal primo matrimonio erano nati due figli: Arsenio ed Epifanio Caballero Molina.
La condizione economica della famiglia era povera; ma profondamente religiosa. Il padre, che si dedicava all’agricoltura, era considerato come una delle persone più religiose della zona. Al fedele compimento di tutte le accortezze da cristiano, aggiungeva l’aiuto alla parrocchia come Sagrestano.
Per le sue conoscenze culturali, poco frequenti all’epoca in quei paesi, era un buon aiuto non solo per il parroco ma anche per i vicini.
C’era una grande unione e un grande affetto tra tutti i componenti della sua famiglia. Juan Josè sentiva la vocazione missionaria, però la mantenne nascosta, date le necessità materiali della casa che richiedevano la sua presenza.
Un compagno di scuola dice di lui che “nessuno era all’altezza di Juan Josè, era sempre disposto ad aiutare gli altri (nei compiti di scuola), compiva puntualmente i suoi doveri e aveva un ritmo d’apprendimento ideale”.
La provvidenza volle che i famigliari di P.Francisco Esteban (che più tardi diventerà suo provinciale e compagno di martirio) entrassero in relazione con lui. La famiglia Esteban Lacal che gli prestò aiuto economico e questo facilitò l’ingresso di Juan Josè nel seminario minore dei Missionari Oblati ad Urnieta. Lì migliorò molto nella sua dedizione allo studio e nella pratica delle sue virtù.
Terminati gli studi superiori, passò a Las Arenas per fare il noviziato e fece la sua prima professione religiosa il 15 agosto del 1930, festa dell’Assunta, patrona della parrocchia dove fu battezzato.
Nel 1931, prima della persecuzione contro la Chiesa a Madrid, conosciuta come “la quema de conventos” (il rogo dei conventi), per ragioni di sicurezza ritorna con i suoi fratelli di comunità a Urnieta.
Più tardi, nuovamente a Pozuelo, è partito per il servizio militare e fu mandato nell’Africa del Nord. Il tempo vissuto in questo continente ha contribuito ad aumentare la sua inquietudine e la sua vocazione missionaria. Di ritorno a Pozuelo, fa la sua oblazione perpetua il 25 febbraio del 1936 e qualche mese dopo riceve il suddiaconato. Due settimane dopo però, le illusioni che aveva riposto nel sacerdozio, sempre più vicino, si vedono troncate per il principio di un calvario che finirà poi nel martirio.
Testimonianze
Non abbiamo molto riguardo al suo martirio. Citiamo la lettera di P. Emilio Alonso, ad un fratello del martire: “Recentemente sono stato a Madrid e ho qui i dati che ho potuto raccogliere su di lui. Fu fermato nella notte del 28 ottobre e portato al carcere Modelo. Da lì fu trascinato al carcere di Sant'Antonio nella notte del 15 novembre. Nella notte del 28 dello stesso mese fu “portato via” insieme a molti altri, tra i quali c’erano 12 Oblati, e fu portato in un posto sconosciuto. Non si è più saputo nulla di quella spedizione, che si chiamò spedizione di Muñoz Seca, perché in essa  ci fu anche l’illustre commediografo”.

(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com)
Giaculatoria - Beato Giovanni Giuseppe Caballero Rodríguez, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Guerra Andres - Religioso e Martire (28 novembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Leon, Spagna, 13 novembre 1914 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.
Dati biografici
José Guerra Andrés nacque il 13 novembre 1914 a Leon, capoluogo della provincia e diocesi dello stesso nome. Fu battezzato il 9 dicembre dello stesso anno. Da quando era molto giovane si appassionò alla vocazione missionaria e nel settembre del 1926 entrò nel seminario minore dei Missionari Oblati di Maria Immacolata a Urnieta (Guipúzcoa). Lì frequentò gli studi superiori che lo prepararono intellettualmente e spiritualmente per entrare nel noviziato di Las Arenas (Vizcaya)  il 13 settembre del 1931 e fece i suoi primi voti il 14 settembre 1932.
Prigionia e martirio
Introdotto nella comunità dello Scolasticato di Pozuelo, inizia i suoi studi teologici. Quando già ebbe terminato il secondo anno di teologia e aveva davanti a sè l’oblazione perpetua, il 22 luglio del 1936 fu catturato con tutta la comunità religiosa e fatto prigioniero nello stesso convento. Portato alla Direzione Generale della Sicurezza il 24 luglio, riconquista la libertà che gli permette di rifugiarsi con altri Oblati in diverse case. Il 15 ottobre fu arrestato nuovamente con gli altri oblati e incarcerato. Il 28 novembre Josè Guerra fu portato via dal carcere con dodici dei suoi fratelli e ucciso a Paracuellos del Jarama. Aveva 22 anni.
Profilo
Coloro che lo conobbero dicono di lui che “era un giovane pacifico, piacevole, impegnato nella sua grande passione che era la pittura. Con la pittura egli fornì buoni servizi. Effettivamente, ogni volta che c’era necessità di un cartello o di un paesaggio per decorare una scena, lì c’ era Guerra con i suoi pennelli.”
Testimonianza
“Sulla vita che portava avanti in carcere, dice un testimone, voglio segnalare due aspetti. Uno fu la dedizione che avevano i religiosi per gli altri prigionieri, come segno di insegnamento e di carità, secondo le loro possibilità. Cercavano di vivere una vita di pietà, recitando il Rosario”.
“Sulla vita che portava avanti in carcere, dice un testimone, voglio segnalare due aspetti. Uno fu la dedizione che avevano i religiosi per gli altri prigionieri, come segno di insegnamento e di carità, secondo le loro possibilità. Cercavano di vivere una vita di pietà, recitando il Rosario”.
Il secondo aspetto era il trattamento che ricevettero da parte dei carcerieri. Fu molto duro, cercando di dividere i più giovani, cercando di farli bestemmiare e allontanare dalla fede; tra i miliziani si commentava che se non potevano con i più giovani, con i più anziani sarebbe stato impossibile. “Questi non hanno rimedio” dicevano i miliziani.
Arrivarono addirittura alla violenza fisica  colpendo con il calcio del fucile sui piedi, essendo questa una delle torture più comuni”.
“Le condizioni fisiche erano molto dure perché non davano loro da mangiare regolarmente, e in più il cibo era cattivo. Affollamento nelle celle, patendo freddo… Nel carcere di San Antòn l’affollamento era tale che alcune notti hanno dovuto dormire in piedi“.

(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Guerra Andres, pregate per noi.

*Beato Giusto Fernández González - Religioso e Martire (28 novembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:

"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Huelde, Spagna, 2 novembre 1916 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 28 ottobre 2007.
Dati biografici
Justo nacque il 2 novembre del 1916 a Huelde, nella provincia e nella diocesi di León.  Questo piccolo paese di montagna sarà, anni dopo, sommerso dalle acque del Pantano de Riaño.
Justo è il più piccolo di 12 fratelli, famiglia umile e semplice di gran lavoratori, profondamente religiosa, fonte di varie vocazioni: dei 12 fratelli, 8 risposero alla chiamata di Cristo, consacrando la propria vita a Dio, di cui due sacerdoti diocesani, due Oblati, un Francescano e tre sorelle della Sacra Famiglia di Bordeaux.
Nel settembre del 1929, Justo vede realizzarsi il suo sogno di entrare anch’egli, come aveva fatto suo fratello Tomás, al seminario minore.
Nel giugno del 1934 si sposta a Las Arenas (Vizcaya) per fare il noviziato e fà anche la professione di fede il 16 luglio 1935. In seguito è mandato a Pozuelo (Madrid) per iniziare gli studi ecclesiastici che lo porteranno fino all’altare. Non appena finisce il primo corso, dopo alcuni giorni di ritiro, Justo si prepara con gli altri novizi a rinnovare la sua oblazione temporanea. Era il 16 luglio del 1936. Soltanto sei giorni dopo, il 22 luglio, sarà arrestato con tutti i membri della comunità oblata di Pozuelo.
Martirio
Dopo due giorni di prigione nel proprio convento, trasformato in carcere, è portato con i suoi compagni al centro di Madrid, Direzione Generale di Sicurezza. Justo, con i suoi fratelli oblati, il giorno dopo sarà rimesso in libertà, ma disorientato nella Capitale spagnola senza saper dove andare. Si rifugia con un suo cugino in casa di una famiglia, finchè sarà arrestato un’altra volta e condotto al carcere di San Antòn. Da qui sarà portato via con altri dodici Oblati il 28 novembre 1936 per essere martirizzato a Paracuellos del Jarama. Aveva appena compiuto 20 anni.
Già da bambino…
Venne al mondo per essere santo e mai perse di vista la sua meta. Condusse una intensa vita di preghiera, coltivando un cuore nobile, buono, pacifico e portatore di pace. Durante l’infanzia, andava a scuola, assisteva tutti i giorni alle catechesi che il parroco teneva sotto al portico della chiesa prima di recitare il rosario. Tutti i giorni aiutava a servir messa e riceveva il sacramento della riconciliazione con frequenza. Due aneddoti possono aiutarci a capire la sua profonda vita di pietà.
Racconta suo cugino e suo coetaneo Julián, che aveva convissuto con lui da bambino: “Ricordo che morì un familiare e quando lo portarono in chiesa, invitò me e un gruppo di bambini ad andare con lui a pregare il Padre Nostro”.
L’altro aneddoto ce lo racconta sua sorella: “A soli otto anni, mi disse un giorno: «Lo sai che Paco è il fidanzato di Constancia (una sorella più grande)?» E io gli dissi: «E il mio chi è?»  E lui mi rispose: «Il tuo è Gesù». Aveva già sentito che io volevo diventare suora…”
P. Olegario Domínguez, che aveva convissuto con lui nel seminario minore, racconta di come lo impressionò: “Tutti i miei compagni li ammirai sempre per la loro precisione, generosità e fedeltà in ciò che gli si chiedeva, specialmente Justo, che fu nominato dai superiori, responsabile dei piccoli. Ricordo che richiamava la nostra attenzione con molta delicatezza e impediva anche che ci fossero dei litigi.”
…e da ragazzo
Già a Pozuelo, Justo si rese conto che l’ambiente ostile era molto teso contro tutto ciò che era religioso , come si poteva appunto constatare dagli incendi e saccheggi di chiese e conventi.
P. Pablo Fernández descrive la crescente avversione nei confronti degli Oblati da parte dei nemici della fede: “Gli Oblati di Pozuelo erano molto apprezzati e valorizzati dai credenti, e convocati ad assistere a riunioni e celebrazioni religiose, sia nelle feste patronali, sia in altre solennità. Erano anche chiamati per gli esercizi spirituali. A questa buona fama tra i credenti, era contrapposta l’avversione e l’inimicizia, dovute all’odio per la fede, di gruppi estremisti, anarchici, ecc… Questo clima ostile era dovuto al fatto che la comunità dei Missionari Oblati promuoveva la vita cristiana non solo a Pozuelo, ma anche nei dintorni: Aravaca, Majadahonda y Húmera”
Riguardo la previsione del martirio, aggiunge: “Nei giorni precedenti al 22 luglio, anche se non uscivano dal convento, senza dubbio erano testimoni di ciò che succedeva intorno: il fumo che vedevano provenire dagli incendi delle chiese e dei coventi di Madrid, l’andare e venire dei miliziani per le strade, le minacce dirette quando passavano davanti al convento, provocandoli, dicendo: “ A morte i frati!” Tutto ciò fece sì che la comunità prevedesse che, da un momento all’altro, sarebbero andati lì per loro. Tanto è vero che quando arrivarono, il fratello custode avvisò P. Delfín Monje dicendogli: ”Sono già qui!”.
Il trattamento che ricevettero in carcere, raccontato da alcuni testimoni oculari, fu spietato, con molto disprezzo, patendo il freddo, la fame, tanta miseria e per di più, pieni di pidocchi. Non ricordo più a quanti interrogatori furono sottoposti. Il comportamento dei Servi di Dio in prigione fu di serenità, di enorme fiducia in Dio, il quale era da loro invocato ripetutamente (…) Voglio sottolineare che i formatori sopravvissuti rimasero sempre a capo di quella piccola comunità anche nella prigionia. Mai si sottrassero alle loro responsabilità. Gli Scolastici, dal loro canto, mantennero sempre, in ogni momento, il rispetto e l’obbedienza ai loro Superiori. Il loro comportamento prima del martirio fu di enorme serenità, di controllo di sé stessi e di preghiera al Signore. Il movente che li guidava era il desiderio di compiere la propria oblazione, fino al punto che uno dei sopravvissuti mi disse: “Mai sono stato così preparato a morire, come in quei momenti”.
(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com)

Giaculatoria - Beato Giusto Fernández González, pregate per noi.

*Beato Gregorio Escobar Garcia - Sacerdote e Martire (28 novembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:

"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Estella, Spagna, 12 settembre 1912 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.
Nacque nella monumentale città di Estella, provincia di Navarra e diocesi di Pamplona-Tudela, il 12 settembre 1912 e fu battezzato il giorno seguente nella chiesa parrocchiale di San Pedro de la Rúa, dove suo padre, Hilario Escobar, era sacrestano.
Sua madre, Felipa, morì nel 1928 e suo padre contrasse un nuovo matrimonio con una donna che lo aveva aiutato molto. La condotta morale e religiosa della famiglia, nell’uno e nell’altro matrimonio, era profondamente cristiana.
Tenían mucha devoción a Jesús Eucaristía y a la Santísima Virgen bajo la advocación de Ntra. Sra. del Puy, Patrona de Estella.
Tanto quando stette nel seno della famiglia, quanto durante i suoi anni di seminario e di servizio militare, mantenne una relazione molto vicina e cordiale con tutti i membri della sua famiglia. Le sue lettere danno fede di ciò. I suoi compagni di seminario lo descrivono come equilibrato, confidente e buon consigliere. Dopo la sentita morte della madre, consiglierebbe perfino a suo padre che si sposasse di nuovo, per il bene dei figli.
A 12 anni, e grazie all’aiuto economico del suo parroco D.Josè Maria Sola,  entra nel seminario minore dei missionari Oblati a Urnieta (Guipuzcoa). Terminati gli studi superiori, inizia il noviziato a Las Arenas (Vizcaya) e fa la sua prima professione religiosa il 15 agosto del 1930. Passa a Pozuelo (Madrid) per fare gli studi ecclesiastici, che dovrà interrompere nel 1934 per essere chiamato ai ranghi. Terminato l’anno di sevizio militare, rientra nella comunità oblata di Pozuelo e fa la sua professione perpetua il 26 novembre del 1935. Un anno prima di terminare gli studi di teologia, il 6 giugno del 1936, è ordinato sacerdote a Madrid.
Il padre di Gregorio e la nuova moglie furono presenti all’ordinazione e furono testimoni dell’ambiente ostile che si respirava a Madrid. Ci racconta le sorella di Gregorio, Maria del Puy: “Stando nel convento degli Oblati, sentivano gli insulti che rivolgevano ai frati quelli che passavano per la strada. Ed andando e tornando dalla cappella del seminario conciliare di Madrid, dove mio fratello fu ordinato sacerdote, i miei genitori con mio fratello ed un altro religioso presero un taxi e dovettero fermare prima di un gruppo organizzato. Stando fermi, gli si avvicinò uno che, dal finestrino, gli disse: questi, con una bottiglia di benzina, arderebbero bene!
”Gli Oblati non erano soliti andare a visitare la famiglia prima di terminare gli studi. Però la famiglia Escobar aveva l’illusione che avrebbero fatto un’eccezione con Gregorio e gli avrebbero permesso di andare a “cantare la Messa” a Estella. Allo stesso modo sarebbe potuto salire alla basilica del Puy per predicare nella festa della Patrona. L’inizio della guerra civile avrebbe troncato tutte queste legittime speranze. Effettivamente, il 22 luglio il convento degli Oblati fu assaltato dai miliziani, e Gregorio, con tutti i membri della sua comunità, rimase prigioniero in casa sua. Due giorni dopo è stato portato alla Direzione Generale di Sicurezza a Madrid, dove il 25 dello stesso mese fu messo in libertà. Dopo una vita da clandestino, il 15 ottobre viene arrestato di nuovo e martirizzato con i suoi compagni il 28 novembre 1936 a Paracuellos di Jarama.
Testimonianze
Della sua infanzia non abbiamo molti dati in più rispetto a quelli che ci ha dato sua sorella : “Per le referenze che ho, so che mio fratello era un ragazzo molto buono. Andava ad aiutare a Messa come chierichetto. Le donne del popolo gli dicevano che si sarebbe fatto prete; però lui diceva che non voleva esserlo. Un aneddoto: un giorno venne un povero a chiedere l’elemosina nella mia casa. Fu Gregorio che gli diede l’elemosina e il povero gli disse che sarebbe diventato vescovo”.
Durante il quarto anno dovette vincere una prova molto amara: la morte di sua madre. Suo padre scrive al seminario e dice: “Gregorio si trova con la madre malata gravemente. Lui badava a tutto, incoraggiava tutti per prepararli al giorno che Dio aveva segnato. Passava il giorno e la notte seduto accanto alla testa di sua madre. Arrivò il giorno che Dio la chiamò. L’8 settembre del 1928. Con che animo e con quale dolcezza parlava agli altri per rincuorarli! Come un santo!”.
E aveva solo 16 anni e, ovviamente, neanche aveva fatto il noviziato… Ci sono molte lettere di Gregorio, gelosamente conservate dalla sorella Puy. Sono tutte intatte. Estraiamo una parte di una, scritta mentre si preparava per la sua ordinazione sacerdotale:
“Mi hanno sempre commosso nel più profondo i martiri. Sempre, nel leggerli, ho un segreto desiderio di avere la stessa sorte. Questo sarebbe il miglior sacerdozio a cui potrebbero aspirare tutti i cristiani: offrire ognuno a Dio il proprio corpo e sangue nell’olocausto per la fede. Che sorte sarebbe quela di morire martire!”.

(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com)
Giaculatoria - Beato Gregorio Escobar Garciax, pregate per noi.

*Sant’Irenarco - Martire (28 novembre)

A Sebaste, in Armenia, si celebra oggi il ricordo di Sant’Irenarco che, addetto alle torture, si convertì a Cristo per l’esemplare forza d’animo delle donne cristiane e venne per questo decapitato sotto l’imperatore Diocleziano e il governatore Massimo.
Martirologio Romano: A Sivas nell’antica Armenia, Sant’Irenarco, martire, che, addetto alle torture, si tramanda si sia convertito a Cristo dinanzi alla fermezza di fede delle donne cristiane e sia stato poi ucciso con un colpo di scure sotto l’imperatore Diocleziano e il governatore Massimo.
Santi Irenarco, Acacio, VII donne e II fanciulli, martiri di Sebaste.
I. La Passio.
La passio greca premetafrastica di Irenarco è stata pubblicata recentemente da G. Garitte e la lunga introduzione che precede l'edizione del testo è, sino ad oggi, il solo studio su questo santo e i suoi compagni.
Secondo questo documento, a Sebaste scoppia una persecuzione quando era governatore della città Massimiano. Sette donne, accusate di avere convertito i loro mariti alla religione cristiana, sono condotte davanti al governatore. Uno dei poliziotti, di nome Irenarco, incaricato della custodia delle sette donne, si dichiara cristiano e prende le loro difese. Massimiano è inflessibile e invita le cristiane a sacrificare agli dèi, ma queste, con un inganno, prendono gli idoli e vanno a gettarli nel lago. Ira del governatore contro Irenarco e le sue compagne. Una di queste, madre di due bambini, giunge persino a gettare nel fuoco un abito bianco che il governatore le aveva dato da scegliere in cambio dei tormenti del martirio. Saranno i suoi due figli ad essere poi associati al martirio di Irenarco. Cominciano allora, tra le preghiere delle cristiane e le ingiun­zioni del governatore a sacrificare agli dèi, i diversi tormenti: le sette donne sono sospese e le loro carni lacerate, ma dalle loro vene invece del sangue esce latte; vengono in seguito gettate in una fornace che si spegne; infine sono decapitate.
Poi è il turno di Irenarco che, avendo rifiutato davanti al governatore di sacrificare, è condannato ad essere immerso nel lago, ma l'acqua si solidifica intorno a lui. I suoi carnefici, che vogliono raggiungerlo sono inghiottiti dalle acque. Nel frattempo Irenarco può ricevere il Battesimo dalle mani del prete Acacio Dopo un nuovo rifiuto a sacrificare, secondo l'ingiunzione di Massimiano, Irenarco è condannato al fuoco e alla decapitazione. Irenarco, Acacio e i due bambini entrano nella fornace; i bimbi muoiono subito, mentre i due adulti vengono tolti dalle fiamme per essere decapitati.
Il racconto termina con l'indicazione della data del martirio di Irenarco e dei suoi compagni: un 28 novembre. Le loro reliquie furono raccolte da una pia donna, di nome Elisea, che le depose nel luogo stesso del supplizio presso il lago, verso Occidente.
Benché questa passio non contenga alcun elemento sicuramente storico, fornisce tuttavia le due « coordinate agiografiche » che H. Delehaye giudica necessarie per stabilire l'esistenza di un culto: il luogo in cui erano venerate le reliquie dei Santi (oresso il lago di Sebaste, verso Occidente) e la data della loro commemorazione (28 novembre). Questo racconto fu certamente composto per meglio giustificare il culto già esistente di un Sant'Irenarco, il ricordo del quale era svanito.
Uno dei grandi meriti dello studio di G. Garitte è d'aver scoperto la evidente rassomiglianza esi­stente tra la passio di Irenarco e quella di s. Biagio, vescovo di Sebaste. Il confronto di questi due testi è in favore della passio di Irenarco; poiché questa presenta una redazione più primitiva nei passaggi paralleli, mentre quella di Biagio porta evidenti segni di soppressione e di riadattamento.
Se non si può concludere che la passio di Biagio deriva direttamente dal testo attuale di quella di Irenarco, si può affermare, tuttavia, almeno, che essa dipende da un testo assai simile. Parimenti, anche se non si può, con la sola critica interna, datare la leggenda di Irenarco, si può tuttavia affermare che essa risale almeno all'VIII sec., poiché se ne trovano già le tracce nella passio latina di San Biagio riassunta (metà del IX sec.) nei Martirologi di Rabano Mauro e di Adone.
Se la passio di Irenarco è anteriore a quella di Biagio, essa stessa non è d'altra parte originale. G. Garitte, infatti, dimostrava che, almeno per la prima parte del racconto, in cui il ruolo principale è assunto dalle sette donne, essa dipende certamente da quella oggi perduta, ma nota attraverso la notizia dei sinassari bizantini al 18 marzo, delle sette martiri di Amisio. Non è azzardato pensare che in questa fonte più antica il custode delle sette cristiane fosse designato con il termine
«irenarco» (magistrato di polizia urbana) che, in un secondo stadio, è divenuto un nome proprio, Irenarco e, come pensa di poter legittimamente affermare G. Garitte: «è divenuto il martire Irenarco le cui reliquie erano venerate a Sebaste; per un'amplificazione del ruolo di questa comparsa, l'autore ha redatto una passio di Irenarco la quale fa intervenire un prete Acacio e due bambini i quali, uniti ad Irenarco nel culto, dovevano essergli uniti anche nella storia».
Si è già detto che la passio delle sette martiri di Amisio è perduta, e tale scomparsa è spiacevole poiché essa avrebbe rivelato senza dubbio, ad un confronto, una stretta parentela con la storia di altre sette martiri, quelle che figurano nella passio di San Teodoto di Ancira.
Occorre ricordare, inoltre, che anche alla memoria di Leonida, martire a Corinto sono associate sette donne martiri.
II. Il Culto.
Come lo lasciava intravedere la passio, i sinassari bizantini hanno conservato al 28 novembre la memoria di Irenarco. Ma sebbene la loro notizia dipenda dalla passio, non vi si fa menzione dei compagni di Irenarco, né, d'altra parte, è indicato il numero delle «sette» donne. Si precisa soltanto che la festa di Irenarco si celebrava a Costantinopoli nella sua chiesa del Khabdos. Diversi lezionari georgiani menzionano al 28 novembre (ma anche al 26 e al 29) I. ed Eliano. Quest'ultimo non è altri che Eliano di Filadelfia.
Nel sinassario armeno di Ter Israel la memoria di Irenarco è venerata al 20 tré (= 28 novembre) e la lunga notizia che gli è dedicata è un riassunto della passio in cui si vedono comparire le sette donne, il prete Acacio e i due bambini.
In Occidente, la memoria di Irenarco si trova per la prima volta nel Martirologio di P. Galesini. Essa è riportata al 27 novembre ed al martire sono associati Acacio e le sette donne (la fonte del Galesini non è stata ancora identificata). C. Baronio, allo stesso 27 novembre, introduce nel Martirologio Romano una notizia quasi identica a quella del Galesini, sebbene nelle note esplicative riporti una notizia di sinassario assai simile a quella che si trova nella traduzione latina del Menologio del Sirleto (al 28 novembre), non facendo quindi menzione né di Acacio né delle sette donne. Non conoscendo i particolari della passio di Irenarco, certi agiografi hanno voluto identificare il prete Acacio con il monaco omonimo della laura palestinese di Cellibara, venerato precisamente nei sinassari bizantini al 27 novembre, rifiutandogli, di conseguenza, tutte le ragioni d'essere venerato con Irenarco.

(Autore: Joseph-Marie Sauget - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant’Irenarco, pregate per noi.

*Beato Luigi Campos Gorriz - Padre di Famiglia, Martire (28 novembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Gesuiti" - Senza data (Celebrazioni singole)
"Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia" Beatificati nel 2001 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Valencia, Spagna, 30 giugno 1905 - Picadero de Paterna, Spagna, 28 novembre 1936
Martirologio Romano: Nel villaggio di Picadero de Paterna nel territorio di Valencia sempre in Spagna, beato Luigi Campos Górriz, martire, che, nella stessa persecuzione religiosa, coronò con una morte gloriosa una vita instancabilmente dedicata all’apostolato e alle opere di carità.
Luis Campos Gorriz nacque a Valencia il 30 giugno 1905. All’età di sette anni divenne alunno dell’Istituto San José dei padri gesuiti, nella sua città natale.
Nel 1921 si iscrisse a Filosofia, Lettere e Diritto. Nell’Università di Valencia si impegnò in un’intensa vita apostolica nelle Congregazioni mariane e nel gruppo studentesco. Si Laureò nel 1926 e nel 1930 cominciò la sua carriera di avvocato.
Il 25 maggio 1933 convolò a nozze con Carmen rteche Echeturía e nel luglio 1935 nacque la prima figlia. Sempre in quell’anno si trasferì a Madrid come segretario generale dell’Associazione dei Propagandisti dell’Azione Cattolica. Nel 1936 rimase vedovo e si trasferì allora con la famiglia a Torrente da Valencia, per il clima pericoloso della città in seguito allo scoppio della guerra civile spagnola. Il 28 novembre 1936 venne assassinato con il rosario in mano in località Picadero de Paterna. Prima di prelevarlo i miliziani si accertarono se avesse lavorato nell’Azione Cattolica e fosse stato tra gli organizzatori del Congresso cattolico di Madrid. Per giungere alla sua beatificazione, l’11 marzo 2001 con Papa Giovanni Paolo II, Luis Campos Gorriz fu aggregato al gruppo dei martiri gesuiti, in quanto loro ex allievo.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Luigi Campos Gorriz, pregate per noi.

*Beato Marcellino Sanchez Fernandez - Religioso e Martire (28 novembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Santa Marina del Rey, Spagna, 30 dicembre 1910 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Dati biografici
Marcelino Sánchez Fernandez nacque a Santa Marina del Rey, provincia di León e diocesi di Astorga, il 30 dicembre del 1910.
I suoi genitori, Nicolás e Ángela, ebbero otto figli, i quali morirono tutti in vita dei genitori, eccetto Marcelino ed un altro chiamata Angel. Era una famiglia cristiana con una buona condotta morale.
Entra nel seminario minore dei Missionari Oblati di Urnieta (Guipúzcoa). La salute di Marcelino era precaria, e ciò lo obbligó a ritornare alla casa paterna. Una volta che si era rimesso, tornò al seminario, e al non vedersi capace di continuare con gli studi per motici di salte, si orientó verso la vocazione di fratello Oblato. Cosí, il 24 marzo del 1927, cominciò il noviziato a Las Arenas (Vizcaya) in qualità di Fratello coadiutore e professò il 25 marzo del 1928, festa della Incarnazione del Signore. Rimane nella comunità del noviziato, prestando vari servizi come sarto e portinaio. Nel 1930, inaugurato lo scolasticato o seminario maggiore di Pozuelo, è destinato a questa nuova comunità e si dedica a prestare i suoi servizi a diversi compiti, principalmente la sartoría.
Nel 1935, dopo sette anni di voti temporanei, fa la sua oblazione perpetua e si sente già pienamente integrato nella Congregazione verso la quale ha sempre mostrato tanto affetto. Lo si ricorda come un religioso fervente, devoto alla Vergine, il cui rosario portava sempre con sé, ubbidiente, responsabile e servizievole.
Detenzione e martirio
Il 22 Luglio del 1936 è arrestato con tutta la comunità oblata a Pozuelo de Alarcón; prigioniero con tutti, è portato alla Direzione Generale di Sicurezza, situata in piazza Puerta del Sol, al centro di Madrid. Il giorno dopo riprende la libertà.
In una retata generale è fermato di nuovo e portato al Carcere Modelo a Madrid. Il 15 novembre del 1936 è trasportato alla Prigione di San Antón (scuola degli Escolapi trasformata in prigione), e durante la notte del 27-28 dello stesso mese è “portato via” per essere martirizzato a Paracuellos del Jarama, a pochi chilometri di Madrid. Aveva 26 anni.
Testimoni
Du Durante la sua infanzia Marcelino vive in un ambiente buono, tranquillo, religioso. Apparteneva all’associazione dei “Tarsicios”, movimento cattolico per insegnare ai bambini la devozione a Gesù Eucaristía e la comunione frequente.
Nell’origine della sua vocazione si manifesta con forza la sua fede per seguire la chiamata di Dio, nonostante la situazione di sua madre, paralitica. Dotato di buona volontà ed amante della sua vocazione religiosa, la segue fedele, nonostante i contrattempi ed acciacchi di salute che gli impediscono di continuare i suoi studi ed accetta con umiltà l’abbandonare il suo progetto di essere sacerdote per continuare nella vita religiosa come fratello coadiutore.
Un sopravvissuto, P. Felipe Díez, dice di quesi fratelli oblati, religiosi come gli altri Oblati, ma non sacerdoti:
Vivevano in un sacrificio esemplare nei diversi ministeri che avevano. Tra gli altri compiti, ricordo che Fratel Bocos si dedicava alla cucina, Fr. Eleuterio rispondeva all’attenzione e pulizia della casa, e Fr. Marcelino Sánchez si dedicava alla sartoria, sistemando  talari. Vissero la virtù della povertà accettando la realtà della nostra vita piena di carenze in quanto alle cose materiali, vivendo il Vangelo nell’amore e fedeltà al lavoro, cercando, come dice il Vangelo, di “servire e non essere serviti.”
In maniera speciale voglio sottolineare l’esempio dei Fratelli Coadiutori che svolgevano con allegria i compiti più umili nella comunità ed erano un stimolo per tutti. Concretamente, ricordo i Fratelli Bocos, Sánchez e Prato, che ci danno un esempio allegro e semplice nel lavoro quotidiano..
In quanto alle sofferenza ed al vissuto durante la prigione ed il martirio, si può vedere quanto segnalato in merito agli altri Oblati, Servi di Dio, martirizzati. Basti ricordare un breve passaggio dell’eloquente attestazione di P. Felipe Díez, superstite: Nel momento della morte, ho sentito che qualcuno, che per le descrizioni coincide con P. Esteban, nostro Provinciale,  chiese permesso per dare l’assoluzione ai suoi compagni. E le sue ultime parole furono: “Sappiamo che ci ammazzate per essere sacerdoti e religiosi. Vi perdoniamo. Vivo Cristo Re!”

(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Marcellino Sanchez Fernandez, pregate per noi.

*Santi Papiniano di Vita, Mansueto di Uruci e Compagni - Martiri (28 novembre)

† 453/460 circa
Questi due prelati africani furono bruciati in tutto il corpo con lame di ferro incandescenti, per aver difeso la Fede cattolica contro il re ariano Genserico.
Martirologio Romano: In Africa settentrionale nell’odierno territorio libico e tunisino, commemorazione dei santi martiri Papiniano di Vita e Mansueto di Urusi, vescovi, che, durante la persecuzione vandalica, portarono a compimento il loro glorioso combattimento bruciati in tutto il corpo con lamine di ferro incandescenti per aver difeso la fede cattolica contro il re ariano Genserico. In quel tempo, anche i Santi vescovi Urbano di Djerba, Crescente di Bizacio, Habetdéus di Teudala, Eustrazio di Sufes, Cresconio di Tripoli, Vice di Sabrata, Felice di Sousse, e infine, sotto Unnerico figlio di Genserico, i vescovi Ortolano di Bennefa e Florenziano di Mdila, condannati all’esilio, terminarono il corso della loro vita come confessori della fede.
Santi Papiniano, vescovo di Vita, Mansueto, vescovo di Uruci, e compagni, vescovi, martiri in Africa
Floro per primo introdusse questi vescovi martiri nel suo Martirologio ponendo la loro festa al 1° dicembre; Adone in seguito la spostò al 28 novembre, data seguita da Usuardo e quindi dal Martirologio Romano. La notizia proviene dalla Storia della persecuzione vandalica di Vittore di Vita, il quale riferisce che Genserico, sbarcando in Africa nel 429 con i suoi Vandali, compi ovunque devastazioni, seminando terrore e morte nelle terre conquistate.
Molti furono i vescovi imprigionati, maltrattati, esiliati ed uccisi. Sotto Genserico però non è chiaro se le depredazioni e le uccisioni fossero compiute per odio alla fede o semplicemente per ragioni di rapina. Sotto il figlio Unnerico, sostenitore degli ariani, si verificò invece una vera persecuzione. Nell’elenco dei vescovi dato dal Martirologio Romano, che comprende oltre Papiniano e Mansueto, Valeriano, Urbano, Crescente, Eustachio, Cresconio, Crescenziano, Felice, Ortolano e Florenziano, mancano i seguenti altri nominativi forniti da alcuni codici di Usuardo: Quodvultdeus di Cartagine, Habensdeum di Teulada, Eustrazio di Sufès, Vice di Sabata, Felice di Adrumeto.
Non tutti questi vescovi subirono condanne e pene nella stessa epoca. Papiniano e Mansueto furono bruciati vivi nel 430-43; gli altri (eccetto Ortolano e Florenziano) subirono con ogni probabilità prigionia o esilio nel 453 (non sarebbero quindi martiri); nel 484 Unnerico esiliò in Corsica molti vescovi fra cui Ortolano e Florenziano dopo vari maltrattamenti.

(Autore: Gian Domenico Gordini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Papiniano di Vita, Mansueto di Uruci e Compagni, pregate per noi.

*Beato Publio Rodríguez Moslares - Religioso e Martire (28 novembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Tiedra, Spagna, 12 novembre 1912 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.
Dati biografici
Publio Rodriguez nacque a Tiedra, provincia e diocesi di Valladolid, il 12 novembre 1912. È il beniamino della famiglia. Questo dettaglio sarà un scoglio col quale urta la sua vocazione: sua madre, molto religiosa, lotta tra l’illusione di avere un figlio sacerdote e l’allontanamento da casa.
“È Dio che lo vuole, mamma, non soffrire nè fammi soffrire. Sii generosa e dai a Dio ciò che appartiene a Lui prima di te“, le scrive.
I suoi compagni dicono che “Publio era il giullare della comunità: cantava, rideva, componeva versi e raccontava aneddoti con riferimenti ai proverbi e detti popolari“.
Anche in carcere, rinchiuso nella stessa cella con P. Mariano Martin e altri tre scolastici, “per ingannare il tempo e rendere più sopportabile la prigione, cominciammo insieme a fare una commedia in versi“, dice Padre Martin.
Testimonianze
Lo stesso Padre aggiunge: “Aveva un carattere simpatico, aperto, combattivo, proselita, franco, buono. Lavorò duramente per portare sulla biona strada due dei suoi fratelli che non erano affatto d’accordo con le sue idee, sebbene fossero molto buoni. Scriveva loro delle lettere dal seminario ed in vacanza parlava con loro. Aveva spirito missionario e desiderava ardentemente andare in Missione, spirito che ha saputo infondere nell’ambiente familiare, soprattutto alla sorella, Maestra Statale“. “Ha saputo sopportare con forza e gioia il carcere a Madrid e quando temporaneamente gli diedero la libertà, fu soprattutto lui a fare da legame tra i suoi compagni di calvario e ed i suoi superiori, andando da un luogo all’altro“.
Dopo il martirio, la madre scrisse una lettera agli Oblati nella quale dice di averlo visto a Las Arenas, durante il passaggio al noviziato: “Alla mia partenza, lo lasciarono venire con me alla stazione di Bilbao. Mi diede un piccolo crocifisso che gli avevano dato a Urnieta, e mi disse: bacialo spesso e, qualunque cosa accada, pensa che tutto ciò che soffriamo per Lui, nonostante ci sembri molto, è poco in confronto a quanto Egli ci ama e a quanto ha sofferto per noi.“
Martirio
Dopo essere stato portato via dal convento ed essere stato liberato dalla prima prigionia, non avendo dove andare, si rifugiò con Padre Blanco e alcuni altri Oblati da una famiglia conosciuta. Dice la figlia:
“Una notte vennero a casa in cerca di riparo, perché non avevano nessun posto dove andare. I miei genitori allestirono per loro una stanza, misero dei materassi sul pavimento, diedero loro i vestiti affinchè potessero dormire e riposare. Una notte, verso le tre del mattino, bussarono alla porta dei miliziani con fucili e pistole, minacciando di essere venuti per ispezionare la casa; dal momento che avevamo un negozio di alimentari, mio ​​padre, credo illuminato dallo Spirito Santo, condusse i miliziani nel negozio e, nel vedere tutto quello che c’era, chiesero per telefono un camion e lo
caricarono tanto che non poteva mettersi in moto. Dovettero scaricare parte della merce per poter andare via. La mattina dopo mia madre disse a P. Blanco che dovevano lasciare la casa perché, se fossero tornati di nuovo i miliziani per perquisire la casa, avrebbero ucciso loro e mio padre e cosa avrebbe potuto fare lei da sola con quattro bimbi piccoli? “.
Lasciando la casa, Publio disse a mia madre: “Non preoccuparti, ritornerò, ma se mi dovesse succedere qualcosa o dovessero uccidermi, pensa che sarò con Dio e ti aiuterò”. Sembra che Publio fosse sicuro che lo avrebbero ucciso. E così fu. Dopo la guerra la sua famiglia si recò a Madrid.
“Mia madre aveva sentito dire che Publio era stato nel carcere Modelo e voleva andarci. Mio padre cercò di dissuaderla, perché era la prima linea del fronte. Tuttavia, siccome lei era insistente, mio padre volle che la accompagnassimo io e mia sorella.
Tra quelle rovine, lei cercava nelle celle e nei corridoi. Improvvisamente cominciò a gridare: Qui, qui! Ed entrò in un piccolo abitacolo. Andammo con lei e vedemmo la parete interamente scritta. Riuscii a vedere in un angolo delle parole che si distinguevano tra le altre, perché erano scritte in rosso, che dicevano: ‘Mamma, mi portano ad uccidermi, muoio per Dio. Non piangere, vado via con Dio..’ Viva Cristo Re! Ed era firmato Publio. Ella si inginocchiò, baciò la parete, e con una specie di coltello, tagliò un pezzo di muro dove si trovava la scritta. Fu allora che mi resi conto che lo avevano ucciso a Paracuellos del Jarama. Mio padre già lo sapeva, ma non aveva fatto alcun commento davanti a noi.”

(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Publio Rodríguez Moslares, pregate per noi.

*San Sostene - Discepolo di Paolo (28 novembre)

Sec. I
Durante la lunga permanenza dell'Apostolo San Paolo a Corinto avvenne un fatto non soltanto clamoroso ma, almeno per noi, difficilmente spiegabile, per quanto riferito con la consueta chiarezza da San Luca, il cronista degli Atti degli Apostoli.
"Essendo poi Gallione proconsole dell'Acaia (cioè della regione nella quale si trovava Corinto) - vi si legge - i Giudei tutti d'accordo insorsero contro Paolo e lo portarono in Tribunale, dicendo: "Costui persuade la gente a rendere a Dio un culto contrario alla legge". "E come Paolo era lì pronto a parlare, Gallione disse ai Giudei: "Se si trattasse di qualche delitto, di qualche grave misfatto, io, Giudei, vi darei ascolto come ragion vuole; ma poiché si tratta di questioni di parole e di nomi, e appartengono alla vostra legge, pensateci voi: io non voglio farmi giudice di queste cose". E li mandò via dal tribunale.
"Tutti allora presero Sostene, capo della Sinagoga, e lo percossero dinanzi al tribunale; e Gallione non se ne curava affatto".
La prima parte dell'episodio è abbastanza chiara: il proconsole romano, in una città che, dopo tutto, si trovava in Grecia e non in Palestina, rifiuta abilmente di farsi giudice di una questione dottrinale che interessa e riguarda soltanto una minoranza dei suoi amministrati. E’, di nuovo, la tattica del lavarsene le mani, adottata da Pilato nei confronti di Gesù, con la differenza che Corinto non era Gerusalemme, e quindi "Fastensionismo", diciamo così, del governatore romano salva Paolo dalle accuse e dalle minacce dei suoi nemici, senza che l'Apostolo apra neanche bocca.
Se non che, ecco il fatto inaspettato: al posto di Paolo, i suoi accusatori, in quello stesso tribunale, prendono e percuotono Sostene, che non aveva nulla a che fare con Paolo, e che era, anzi, il capo della Sinagoga locale.
Perché accadde questo? Perché venne malmenato Sostene, al posto di Paolo? Gli studiosi non sono riusciti a dare una risposta convincente a questa domanda. Probabilmente, il capo della Sinagoga
era colui che aveva sobillato i correligionari a manifestare contro Paolo, e i Giudei se la rifecero con lui quando videro che tutta la loro manovra era andata in fumo. Secondo alcuni, però, il risentimento dei Giudei "estremisti" avrebbe avuto un'altra origine: Sostene, cioè, sarebbe stato convertito da San Paolo, passando in campo nemico, così da essere punito per il suo tradimento.
Della conversione di Sostene, capo della Sinagoga di Corinto, gli Atti non fanno parola. Poco dopo, però, il suo nome appare di nuovo nell'indirizzo della lettera che, da Efeso, San Paolo scrisse proprio agli irrequieti cristiani di Corinto, e di cui Sostene sembra essere stato il latore. E’ stato così naturale pensare che l'antico capo della Sinagoga, percosso dai compagni di fede, sia stato effettivamente convertito da San Paolo, diventando suo discepolo, incaricato di tenere i contatti tra l'Apostolo e la comunità di Corinto, dove era ben noto e stimato.
Questa ipotesi, probabile ma non certa, è stata accolta dai compilatori dei Martirologi, i quali oggi ricordano Sostene tra i Santi, come discepolo di San Paolo ed ex-capo della Sinagoga di Corinto. Con le percosse davanti al tribunale, egli avrebbe " consacrato con un glorioso inizio le primizie della propria fede", per poi maturare quella sua fede come Vescovo di Colofonia, in Asia Minore. Ma questa è notizia tradizionale, che nessuna testimonianza storica conferma.

(Fonte: Archivio Parrocchia)
Giaculatoria - San Sostene, pregate per noi.

*Santo Stefano il Giovane - Monaco Orientale, Martire (28 novembre)

Costantinopoli, 715 – 28 novembre 764
Monaco orientale, visse nell'VIII secolo, durante la lotta iconoclasta, di cui fu vittima e martire. Nato a Costantinopoli nel 715, Stefano si mise dapprima sotto la direzione di un eremita, poi entrò nel monastero di Monte Sant'Aussenzio, in Bitinia, dove divenne abate.
Qui visse pregando e svolgendo il lavoro di copiatura di testi. In quel periodo l'imperatore iconoclasta Costantino Copronimo nella sua battaglia contro le immagini sacre aveva preso di mira in particolare i monaci.
In seguito al concilio di Hiera, che nel 753 condannò i difensori delle icone, Stefano si schierò apertamente contro l'imperatore. Questo gli costò lunghe vessazioni, prigionie, ingiurie e incarcerazioni.
Il 28 novembre 764 Stefano fu ucciso da alcuni ufficiali di palazzo a Costantinopoli, senza l'ordine dell'imperatore. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Costantinopoli, Santo Stefano il Giovane, monaco e martire, che, sotto l’imperatore Costantino Coprónimo, sottoposto a vari supplizi per aver difeso il culto delle sacre immagini, confermò con l’effusione del suo sangue la verità cattolica.
La ‘Vita’ di questo monaco orientale, fu scritta verso l’anno 809 dal suo omonimo il diacono Stefano di Costantinopoli.
Il Santo monaco Stefano il Giovane, nacque nel 715 a Costantinopoli, l’antica Bisanzio; da giovane si mise prima sotto la direzione di un eremita, ma poi scegliendo la vita religiosa, entrò nel monastero di Monte Sant’Aussenzio in Bitinia, vicino Calcedonia, dove poi ne divenne egumeno (abate).
Qui visse per anni dedito alla preghiera e come amanuense, il benemerito lavoro dei monaci che copiavano gli antichi testi.
In quel tempo governava l’imperatore d’Oriente Costantino V Copronimo (718-775), figlio di Leone III Isaurico (675-741) l’imperatore che nel 726 aveva iniziato la politica religiosa dell’iconoclastia, contro il culto delle immagini. Tale movimento iconoclasta era proseguito con il figlio Costantino V, che ingaggiò una dura lotta, specie contro i monaci; convocando anche il Concilio di Hiera, che nel 753 condannò i difensori del culto delle immagini sacre.
L’egumeno Stefano si schierò apertamente contro le norme di questo Concilio, indetto dall’imperatore e non dal Papa, norme che saranno poi sconfessate con l’approvazione della
venerazione delle immagini, nel successivo II Concilio di Nicea del 787.
Intanto Costantino V Copronimo nel giugno del 762, ingiunse all’egumeno di Monte Sant’Aussenzio, il rispetto e l’adesione dei canoni promulgati a Hiera; essendosi questi rifiutato, fu condotto al monastero di Chrysopoli presso Costantinopoli e da lì inviato in esilio nell’isola di Proconneso, permettendo alla madre e alla sorella di raggiungerlo.
Dopo un anno, nel 763, fu riportato a Costantinopoli dove più di 300 monaci erano stati messi in carcere a motivo del loro attaccamento alla causa del culto delle immagini.
Dopo un’altro anno di continue vessazioni ed ingiurie, il 28 novembre del 764, l’abate Stefano fu ucciso da alcuni ufficiali di palazzo, mentre erano in corso i festeggiamenti per l’imperatrice Eudossia, ma senza alcun ordine dell’imperatore.
La Chiesa Greca lo riconobbe come martire, ponendo la sua commemorazione al 28 novembre e in tale data e qualifica, è incluso nel Martirologio Romano.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santo Stefano il Giovane, pregate per noi.

*Santa Teodora di Rossano - Badessa (28 novembre)

Martirologio Romano:
Vicino a Rossano in Calabria, Santa Teodora, badessa, discepola di San Nilo il Giovane e maestra di vita monastica.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Teodora di Rossano, pregate per noi.

*Beato Vincenzo Blanco Gaudilla - Sacerdote e Martire (28 novembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:

"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Frómista, Spagna, 5 aprile 1882 - Paracuellos de Jarama, Spagna, 28 novembre 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.
P.Vicente Blanco nacque a Fromista, provincia e diocesi della città di Palencia, il 5 aprile del 1882 I suoi genitori si chiamavano Ilario e Lucia. La sua famiglia, di umili lavoratori, era molto religiosa ed era di sani principi, con una condotta impeccabile.  Già da piccolo ebbe molti contatti col parroco e con il cappellano della chiesa della Sacra Famiglia di Bordeaux. Senza dubbio è in questo periodo e grazie a questa amicizia col cappellano che nacque la sua vocazione, attraverso il legame di queste religiose con i Missionari Oblati.
Nel 1895 entrò nel seminario di Nostra Signora del Soto, in provincia di Santander, piccola casa di formazione che gli Oblati avevano appena aperto. Due anni più tardi, il suddetto seminario si spostò a Urnieta (Guipúzcoa) e proprio lì Vicente terminerà la scuola superiore.
In quegli anni i testimoni assicurano che si faceva notare per la sua rettitudine e fermezza e per il desiderio di essere religioso e missionario. Lì aumentò la sua devozione mariana con la preghiera del rosario, ma devozione già inculcata in famiglia dalla madre. Durante le vacanze, mostrava interesse nell’aiutare gli altri e si preoccupava della situazione dei suoi genitori, bisognosi di mezzi per poter sopravvivere.
Il 14 agosto del 1900, il giovane Vicente, raggiunte ormai le sue 18 primavere, viene mandato in Francia per iniziare il noviziato presso Notre Dame de L’Osier e, lì stesso fece i primi voti il 15 agosto del 1901.
Trasferito a Roma per completare gli studi ecclesiastici, nella Città Eterna prese i voti perpetui. Sempre a Roma, e più concretamente nella Basilica del Salvatore (S. Giovanni in Laterano), “Madre
e Capa di tutte le chiese del mondo”, fu ordinato sacerdote il 14 aprile del 1906.
Dopo alcuni anni nel Juniorato di Urnieta, ottiene lì l’incarico di Superiore. Per ben otto anni fu maestro di novizi ad Urnieta e a Las Arenas (Vizcaya). Molti suoi novizi, soprattutto degli ultimi anni, saranno di nuovo suoi alunni e membri della sua comunità nello scolasticato di Pozuelo, poichè a questa casa sarà destinato, diventando il Superiore, nel 1932.
Impegnato principalmente nei suoi compiti di superiore e professore, P.Blanco trovava il tempo anche per dedicarsi a lavori pastorali, aiutando nella parrocchia del paese, confessando e predicando nei conventi di religiose esistenti in quella comunità.
Il 18 luglio 1936, dopo aver predicato il ritiro di preparazione per i primi voti al gruppo di giovani che due giorni prima aveva terminato l’anno di noviziato, P.Blanco torna alla sua comunità di Pozuelo. La guerra civile era sul punto di iniziare.
Nella sua stessa casa sarà arrestato con tutta la comunità il 22 luglio del 1936. Viene portato via, presso la Direzione Generale di Sicurezza a Madrid e rimesso in libertà il 25 luglio dello stesso anno. Dopo quasi tre mesi di vita clandestina, il 15 ottobre è arrestato di nuovo e il 28 del mese di novembre è martirizzato..
Virtù del Servo di Dio
Le informazioni che conserviamo grazie ai suoi superiori del noviziato, descrivono questo servo di Dio come un giovane “molto docile, generoso e impegnato, modesto, semplice, equilibrato, molto convinto della sua vocazione e con un grande amore per la sua famiglia religiosa”.
Più tardi, quando riceverà la sua prima obbedienza, essendo già sacerdote, parlano “della sua regolarità perfetta, del suo grande spirito religioso, della sua solida pietà, del suo giudizio retto, un po’ incline alla severità, della sua volontà ferma e flessibile, del suo carattere buono e impegnato…” Così lo vedevano i suoi formatori.
Dal lato degli Oblati che lo hanno conosciuto come superiore e professore, sono tante le testimonianze che ricordano la sua grande qualità spirituale. Ci sono numerosi testimoni; alcuni dicono: “Otto generazioni di novizi passarono attraverso la sua scuola di formazione religiosa. Osai pensare che non ci fosse stato nessuno che gli abbia professato venerazione, rispetto e stima; inoltre non era un religioso volgare, bensì un uomo di gran virtù, specialmente di grande prudenza, solida pietà, zelante e dedito agli interessi della Congregazione, amante della Chiesa, austero e, allo stesso tempo, uomo di gran cuore; inoltre era profondamente umile, rigido con se stesso, però comprensivo e indulgente con gli altri”. “ Si distingueva per la sua osservanza religiosa, che era di stimolo per tutta la comunità” e lo chiamavano “Il Santo Padre Blanco”.
L’ora del suo martirio
“Nei giorni successivi al 18 luglio, lo si vedeva predicare a Bilbao (in base a ciò che sappiamo).Arrivò a Madrid con l’ultimo treno che arrivò nella Capitale proveniente dal Nord. Ci raccontò ciò che aveva vissuto sia nel Nord, sia durante il viaggio”.
Il giorno seguente subisce con tutti i membri della sua comunità, la prima persecuzione dei miliziani di Pozuelo, che perquisiscono violentemente la casa, cercando armi che non c’erano. Il 22 luglio, il Comitato Rivoluzionario di Pozuelo si appropriò del convento, che fu trasformato in prigione. Il P. Blanco, con tutti i membri della comunità furono i primi prigionieri nella propria casa, sottomessi a ogni tipo di minaccia e perquisizione.
Al sorgere del sole del giorno 23, gli permisero di recarsi all’oratorio per pochissimo tempo, nemmeno l’indispensabile per celebrare la Messa. Fecero una breve preghiera e ricevettero la comunione. Tutti pensavano che quella comunione fosse il viatico, ossia la loro ultima comunione…  Il Padre Superiore aprì il tabernacolo e iniziò a  distribuire la comunione. Si emozionò tanto che non riuscì a continuare. I padri Monje e Vega, continuarono a dare la comunione fino a che il tabernacolo non restò vuoto. Il P. Blanco nella sacrestia, piangeva disperato, ripetendo: “Che sarà di questa casa, soprattutto ora che non abbiamo più il Signore con noi?”.
Ci saranno poi altre stazioni di questa sua via Crucis per Madrid, cercando rifugio in varie case per tutti, visitandoli, dando loro coraggio e l’assoluzione. In seguito, si trovò presso il Carcere Modello e il Carcere di S. Antonio. Così racconta il P. Delfín Monje, compagno di carcere e sopravvissuto, riguardo a un sequestro forzato: “Il 27 Novembre alle 6 del pomeriggio iniziò a girar voce riguardo alla prima lista di spedizionieri.  Il penultimo della lista era costui che sottoscrive. Uscimmo da S. Antonio alle otto e mezza di sera. Lasciammo gli altri compagni soltanto col sospetto di ciò che ci attendeva. Ricordo che andandomene, P.Blanco mi disse: “Credo che sarai rimesso in libertà, scrivimi in seguito per informarmi”. Furono le ultime parole che udii da quell’uomo che, durante il periodo in carcere, si mostrò sempre coraggioso  e ottimista”. Molto presto, in un altro sequestro, egli stesso sarà portato a Paracuellos, in compagnia del Provinciale e undici Oblati, per essere fucilati. Così avverrà il suo martirio. Era il 28 novembre del 1936.

(Fonte: www.martiripozuelo.wordpress.com)
Giaculatoria - Beato Vincenzo Blanco Gaudilla, pregate per noi.

*Altri Santi del 28 Novembre  
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Santa Catertina Labourè - Vergine
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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